Almanacco del Calcio Toscano

Io proprio io: Rossano Bartalucci

Con Rossano Bartalucci l’Almanacco del Calcio Toscano si propone di inaugurare una serie di approfondimenti con i personaggi del nostro mondo. La rivista per ragazzi “L’intrepido” negli anni 70-80 chiamava la rubrica “Io proprio io”. Il nostro primo “intrepido” è l’allenatore che ha appena concluso un lungo percorso con la Lastrigiana. (Nella foto Rossano Bartalucci con il nostro Edoardo Novelli)

ROSSANO, NON E’ CHE ALLA FINE TI PRENDI UN ANNO DI RIPOSO COME SPALLETTI?

“Le mie esigenze lavorative e di famiglia mi portano necessariamente a dover fare una scelta non semplice, quindi è normale dover attendere una situazione congeniale. Può darsi che non la trovi subito. Mi ha fatto piacere ricevere tante proposte, ma sia per un discorso logistico che di orari non sono riuscito a far conciliare le opportunità con la mia situazione. Non sono uno che si butta ad allenare tanto per non stare fermo, devo trovare qualcosa che mi stimoli”.

PERO’ TI STANNO CERCANDO IN TANTI…

“Ho parlato con altre quattro cinque società. Una di serie D, altre di Eccellenza oppure con proposte di un ruolo nel settore giovanile. Non faccio neanche un problema di categoria se trovo il modo di fare calcio nella maniera che mi piace, con un progetto che stimoli, sono disponibile a valutare proposte compatibili con i limiti che ti dicevo prima”.

COM’E’ ANDATA A BORGO?

“A Borgo avevo trovato subito una grandissima sintonia con Andrea Agatensi e il nuovo direttore sportivo Paolo Banchi, oltre che con il Presidente Riccardo Borselli. Però purtroppo la mia situazione lavorativa, che ritengo prioritaria sul resto, è stata penalizzante. Anche se sono stato veramente tentato ho dovuto rinunciare”.

IL FIRENZE OVEST?

“Ho pensato anche all’idea Firenze Ovest, ci sono legato e conosco le persone. Ma lavoro nell’azienda di famiglia, il mio datore di lavoro è Andrea Colzi, presidente della società. Mi trovo benissimo e ho ritenuto fosse più opportuno tenere separato il lavoro dal calcio. Sarebbe complesso gestire eventuali contrasti o diversità di vedute sulla squadra, portando in ditta il lunedì i problemi di campo della domenica”.  

LO SCANDICCI?

“Me lo dicono tutti, ma non li ho sentiti, penso stiano cercando una figura e un profilo diverso”.

CI FAI LA SCHEDA PER WIKIPEDIA?

“Ho cominciato coi pulcini della Ginestra, il mio paese dove ancora abito, poi alla Lastrigiana con la prima vittoria a 8 anni nello storico trofeo Vasco Ganugi. Mi notò l’Empoli, e lì sono rimasto circa 15 anni. Ho vinto lo scudetto Primavera a 18 anni e in seguito 5 anni in tutto con la prima squadra. Nel mezzo ho fatto esperienze a Poggibonsi, Ponsacco e Montevarchi in C. Poi, rientrato ad Empoli ho subito due gravi infortuni nel giro di due anni. Mi sono il tendine d’Achille nel ’93 giocando a Verona contro il Chievo. All’epoca si faceva fatica a reperire un chirurgo che ti garantisse la ripresa in efficienza e con una tempistica accettabile. Mi aiutò Luciano Spalletti, rintracciando un professionista esperto di casi simili con altri sportivi, nel basket è un infortunio più frequente. Ma ci volle comunque più di un anno per tornare a giocare. L’anno successivo andai alla Rondinella, a fine campionato mi ruppi il crociato. Non ho vissuto bene gli infortuni, mi sono sentito frenato su una strada nella quale avevo investito tutto, costretto fra piscina, palestra, bicicletta, riabilitazione, a quell’età è dura ma è andata così”.

POI UNA LUNGA TRAFILA DI MAGLIE E VITTORIE IN SERIE D…

“Esatto. Fino al 2006-2007 comunque ho giocato e vinto parecchio, se mi ricordo bene tutto con Castelfiorentino, Cerretese, Sestese, Cuoio Cappiano, Pontassieve, Firenze Ovest, e gli ultimi due anni con Vinci e Montelupo, altri due campionati vinti. Poi, dopo un paio di anni di stop durante i quali è nata la mia prima figlia, ho iniziato ad allenare al Firenze Ovest, un anno con gli Juniores e il successivo in Prima Squadra. Quindi un biennio a Gambassi, e con la nascita della seconda figlia, un anno con i giovanissimi B vicino casa alla Ginestra. Poi è arrivata la chiamata di Yuri Pozzi e Fabrizio Bellini alla Lastra, e lì sono rimasto 10 anni con un’esperienza lunga e formativa. Fabrizio Bellini mi ha accompagnato lungo tutto il percorso fino alla prima squadra. Yuri Pozzi è un ragazzo meraviglioso di grande competenza, come del resto Giovanni Mollica, Andrea Pucci, tutti fondamentali per la mia esperienza di crescita. Il percorso mi ha permesso di interpretare anche un ruolo più manageriale. Ho lavorato a contatto con il presidente Samuele Vignolini, che mi ha coinvolto nella gestione del gruppo e nella costruzione della squadra”.

QUANTO E’ STATO IMPORTANTE NEI RISULTATI ALLA LASTRA IL TUO GRUPPO?

“Se prima ancora del giocatore, ti fai un’idea della persona che stai prendendo, riesci a gestire il gruppo facendoti apprezzare come un fratello o un padre, senza l’indulgenza dell’amicizia ma con la disponibilità piena all’ascolto e al sostegno nel bisogno, se ti proponi con questi principi i risultati sono la logica conseguenza. In un gruppo di 25 persone non serve solo chi è tecnicamente bravo, occorre saper stare in certi contesti, e non sempre sboccia il feeling. Se penso alla mia carriera di calciatore, in cui ho vinto 7 campionati, gli anni con i giocatori sulla carta più forti li ho conclusi uno ai play out e l’altro a metà classifica. Con il 2001 ho fatto 4 anni, poi ho allenato un anno il 2002 e ho ritrovato i gruppi insieme nel primo anno di Juniores e nelle quattro stagioni in prima squadra. Mi sono confrontato con tante personalità diverse e in continua evoluzione. Forse sono anomalo, rispetto a chi valuta in un biennio il ciclo giusto per allenare un gruppo di settore giovanile, io li avrei tenuti anche quindici anni, non mi sarebbero mancati gli stimoli, la stima e la fiducia reciproca, sempre nel rispetto dei ruoli. Un gruppo di amici dentro e fuori dal campo, anche in quest’anno che ci è mancato lo spogliatoio e di fatto abbiamo sempre giocato in trasferta, con tanti infortuni e una società che in certi frangenti ha fatto fatica a starci vicino”.

SI PUO’ DIRE CHE SI E’ CHIUSO UN CICLO?

“Con la società ci siamo trovati d’accordo, il ciclo si è chiuso forse più con la squadra che con me, però le scelte societarie, un certo ridimensionamento economico e la loro necessità di rifondare hanno portato a questa scelta, dolorosa ma opportuna. Sono stato alla Lastrigiana un quinto della mia vita, ho vinto tutto il possibile, ma non si vive di ricordi, bisogna saper riconoscere i momenti, e poi può essere un arrivederci”.

CHE DIFFERENZE VEDI FRA OGGI E IL CALCIO IN CUI SEI CRESCIUTO?

“Oggi per un ragazzo di 18 anni è diverso. L’introduzione delle quote non è stata positiva, si vedono ragazzi che non lo sono più e sono costretti ad affrontare un percorso faticoso che a volte li porta a smettere, alla prima difficoltà vacilla la passione e il senso di appartenenza per questo sport. Io dopo due anni di Primavera sentivo il bisogno di misurarmi e giocare coi “più grandi”, ma avevo certe caratteristiche. Non vedo una cosa buona l’obbligo, è un’imposizione contro lo sport, illude e crea false aspettative. Il giocatore bravo gioca a prescindere, il merito non dovrebbe dipendere dall’anno di nascita ma dalla voglia di arrivare, dal carattere. Finché sei quota sei tenuto nell’ovatta perché la società ne ha bisogno, dopo non servi più. Con me ha giocato Valori del 2005, e in ritiro ne ho portati altri 3, negli anni passati ho fatto giocare Leoncini, un 2004, perché lo meritavano. Una regola potrebbe essere disporre un numero minimo di “under” nella rosa, penso a 10, a prescindere da chi va in campo. L’anno prossimo con la fine del vincolo toglieranno le quote, e i ragazzi che non “servono” più dove andranno se non hanno qualità?”   

SAREBBE UN PECCATO SE DAVVERO SCEGLIESSERO DI SMETTERE…

“C’è questo rischio. Lo sport è una risorsa nella vita e nella crescita dei ragazzi, non c’è solo la scuola. Lo sport è disciplina, regole, si impara a stare insieme agli altri con rispetto, a organizzare il proprio tempo gestendo gli impegni, è un supporto educativo per la famiglia. Ricordando che il sacrificio è la base per ogni conquista, che passa anche attraverso qualche rinuncia. Servirebbe che a insegnare ci fossero sempre istruttori capaci e qualificati. Nel calcio i limiti organizzativi dei nostri settori giovanili, dove ci si allena sempre nel primo pomeriggio, penalizzano chi sarebbe all’altezza ma vivendo di un altro lavoro non può farlo. In Italia serve il patentino per la terza categoria e non è richiesto per i giovanissimi B, dove ci vorrebbero figure specializzate, è una cosa un po’ assurda. Poi ci vogliono le strutture, quando arrivai alla Ginestra sullo stesso campo si allenavano tre gruppi in contemporanea, riuscii a ottenere di allenarsi a San Vincenzo a Torri, campo tutto per noi. La crescita fu immediata, dai risultati disastrosi dell’anno prima quel gruppo arrivò quarto”.

OLTRE ALLA PANCHINA QUALI SONO LE TUE PASSIONI?

“Sono tifosissimo della Fiorentina, passione nata da quando ero piccolo, ereditata dal babbo e dal nonno, in curva da sempre. Poi c’è la musica, di tutti i generi, mi ha accompagnato nella solitudine dopo gli infortuni, oggi da allenatore, uomo solo contro il mondo, mi segue quando mi chiudo a riflettere e valutare. Per lavoro mi sposto spesso col furgone, accendo la radio la mattina ed è una compagna di viaggio, uno status emozionale, una canzone può svoltarti l’umore di una giornata, scatena ricordi. Ascolto tutti i generi, la forza di una persona è quella di sapersi sempre confrontare con i percorsi di vita delle generazioni dopo la propria, se vuoi allenare e relazionarti con chi ha trent’anni meno di te, devi parlare lo stesso linguaggio, crescere con loro senza fossilizzarti su un’idea o un pensiero. Sono curioso per natura, ho voglia di conoscere, capire, migliorarmi, ascoltando sempre tanto”.

QUAL E’ L’ULTIMO CONCERTO A CUI SEI STATO?

“Quello di Renato Zero”.

E L’ULTIMO FILM VISTO?

“Step up, con una delle mie figlie che balla hip hop e danza, con lei vediamo spesso film a sfondo musicale”.

Quale miglior film di una serie che ha come inciso “La strada per il successo”? Te ne auguriamo ancora tanto Rossano.

Edoardo Novelli

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