Almanacco del Calcio Toscano

Io proprio io: Stefano Alari

Prima parte

Io proprio io: Stefano Alari. Io proprio io ci porta a conoscere Stefano Alari, oggi direttore sportivo all’Antella, dopo averla allenata per anni. Il suo è un racconto così appassionato, intenso e minuzioso, da meritare uno spazio speciale, che divideremo in due parti. Nella prima cominciamo a conoscerlo e ne ascoltiamo le “perle di saggezza”, nella seconda andremo a ripercorrere i suoi campionati da allenatore. Buon viaggio.

Il “toro sardo”, coerente e… riflessivo

– Chi vede solo l’apparenza non sa cosa si perde, persona vera, diretta, schietta. Scomodo per tanti, perfetto per qualcuno… Sono parole del tuo mister Claudio Morandi.

“Penso di aver capito cosa intende Claudio e lo prendo come un bellissimo complimento. Il mio essere ha un carattere particolare, quella che tutti chiamano personalità, formatasi soprattutto nel crescere. Da ragazzino ero molto taciturno, chiuso e schivo, e questo all’inizio nel calcio non mi ha aiutato. Ho avuto babbo Fernando fiorentino puro, la mamma Giovanna sarda da cui ho preso molto caratterialmente, sono un passionale, c’è chi mi chiama <Il toro sardo>

La coerenza, l’essere sempre autentico, è una mia caratteristica. Quando qualcosa non mi va non ci penso due volte a dirlo. E mi fa paura l’invidia, perché il passo dopo diventa cattiveria. Certo a 54 anni, son diventato pure nonno di Michelangelo, un po’ più riflessivo lo sono, freno quell’impulsività che talvolta mi ha dato problemi. Ma preferisco sempre le persone schiette, il confronto, magari una litigata. Poi rifletto e tutto passa in cinque minuti, nello sport come sul lavoro o in famiglia”.

– Insomma istinto ma anche ragione…

“Vedi, con l’età si diventa filosofi di noi stessi, a volte la sera mi ritrovo a fumare una sigaretta sul balcone e mi vengono delle massime dentro che mi piacciono davvero. L’unico problema è che poi non le ricordo il giorno dopo… Però se mi tornano in mente e le esterno, a qualcuno piacciono anche”.

Gli inizi alla Sales, il Casellina, il “quasi – scudetto” alla Cattolica

– Stefano Alari, tutto è cominciato… Quando e come?

“Sono nato in Piazza Beccaria, mi sono affacciato al calcio Sales. Poi i miei genitori si separarono, andai a vivere a Scandicci e ho tirato i primi calci veri al Casellina fino ai 14 anni, ci sono cresciuto e ho un ottimo ricordo. Ho il vanto di aver meritato l’attenzione del dottor Favini (Mino Favini, grande osservatore che in seguito fu responsabile del Settore giovanile dell’Atalanta per oltre vent’anni n.d.r.). Favini venne a parlare con mia madre, mi portò a Lucca e poi a Zingonia per dei provini, giocavo centrocampista avanzato e facevo anche tanti gol.

– I passi successivi li hai compiuti alla Cattolica Virtus…

“Con la Cattolica Virtus ho vinto il mio unico campionato a livello giovanile. L’allenatore era Valentino Borgianni, presidente Aldo Nesticò, c’era ancora Don Mario. Per me quella è ancora oggi la Cattolica “vera”. Mi resta il rammarico di essere stati vice campioni d’Italia. Ma ho un ricordo stupendo anche a livello educativo, non ho mai vissuto le barzellette che si raccontavano, che dovevi andare alla Messa per forza. Era normale fosse un ambiente diverso dagli altri, lo porto nel cuore e quando ne ho la possibilità ci vado tutt’ora”.

Lo sguardo magnetico di Stefano Alari

Lauro Toneatto, allenatore e mentore

– Intanto Stefano Alari cresceva, quale personaggio di quegli anni ricordi in particolare?

“Dopo la Cattolica Virtus ho giocato a Castellina fino ai dilettanti, a San Donato, Staggia, Pratovecchio, raccogliendo molte soddisfazioni fra Promozione e Eccellenza con tanti allenatori che ricordo tutti con piacere. In particolare sono legato a Lauro Toneatto. Dopo le partite mi incantavo ad ascoltare i suoi racconti, sugli anni alla Sampdoria di Paolo Mantovani o al Cagliari di Gigi Riva. Grazie a lui ho capito che in seguito avrei anche potuto fare l’allenatore”.

– C’è qualche episodio che ci puoi raccontare in proposito?

“Era il mio allenatore a Staggia, giocavamo contro il San Donato che era la mia ex squadra. Lui si mise seduto nello spogliatoio, lo guardavamo perplessi, poi chiamò me… <Stefano, hai giocato fino a ieri lì, dicci qualcosa di loro> Mi fece alzare in mezzo agli altri, e mi trovai come un allenatore a spiegare quello che sapevo. Mi sono rimasti nel cuore Sergio Carboni, Roberto Ronchi, tendo a ricordare di più gli allenatori sanguigni, come poi sarei diventato io, almeno per come mi descrivono. Ho ricordi anche dei pre – partita, la gestione della settimana… Mi porto dietro anche i rapporti meno belli, per questo nei rapporti ho sempre cercato la chiarezza, ti rende inattaccabile”.

Staggia: capitano, l’inchiesta, poi la panchina… in campo!

– L’esperienza a Staggia prima come capitano, poi, dopo qualche anno, il ritorno come allenatore giocatore…

“Poi arrivarono le quote, se non sbaglio la prima annata considerata tale fu il 1974, all’epoca ero già tra i vecchi. Ho smesso abbastanza giovane, nel ruolo massacrante di allenatore – giocatore a Staggia in seconda categoria. Tornai a Staggia quando mi chiamò Franco Calamassi. Con lui ho avuto un rapporto forte pur nei gravi problemi di qualche anno prima, quando ero capitano della prima squadra in Promozione e finimmo nei Tg nazionali per l’operazione chiamata all’epoca <piedi puliti>. All’epoca veniva contestato il tesseramento di giocatori nati fuori regione.

Ero lì e posso dire che a quei ragazzi nel cosiddetto pensionato veniva data un’opportunità, erano seguiti, ho visto passare fior di giocatori, pochi sanno che fra loro per un periodo viveva lì Antonio Cassano. Poi, certo, emersero anche altre cose. Però, anche in vicende recenti, secondo me dobbiamo guardare al risultato finale. Ragazzi come Kouame, mi viene in mente il più noto, alla fine hanno ricevuto tanto a prescindere, lui come altri sono stati accolti, hanno vissuto meglio di quanto facessero nei loro paesi, anche a loro è stata data un’opportunità”.

A ruota libera

Dopo Staggia Stefano Alari inizia ad allenare una prima squadra, all’Albor Grassina. Ci saranno poi Rignanese, San Donnino, Firenze Ovest, Vicchio, ancora l’Ovest fino agli ultimi anni all’Antella con “salto” finale dietro la scrivania. Racconteremo di tutto questo nella seconda parte del nostro “Io proprio io”, vi anticipiamo che sarà un vero romanzo, una narrazione minuziosa e appassionata. Per adesso proseguiamo con aneddoti di vita, perle di saggezza e spicchi di cuore del misterone Stefano Alari, raccontate in un fluire rigoglioso di emozioni e ricordi.

Stefano Alari sul prato del Franchi in occasione di un amichevole della sua Antella con la Fiorentina

Quella volta che il prof. Acconcia mi rimandò…

– Antonio Acconcia e gli appunti del chirurgo

“Mentre allenavo all’Albor Grassina ho fatto il corso Master al Settore Tecnico di Coverciano insieme al Principe Giuseppe Giannini, diventammo amici, dopo una sfida a calcetto al campetto di Villa Kasar mi pagò anche la cena, poi purtroppo ci siamo persi. Avevo insegnante il prof. Antonio Acconcia, e mi sentivo un po’ preso di mira da lui, tanto che mi rimandò a Tecnica. La presi proprio male, mi presentai all’esame di riparazione un po’ prevenuto, c’era in commissione anche Roberto Clagluna.

Acconcia aveva notato che non prendevo mai appunti, me lo fece notare e gli risposi che però quel che apprendevo mi rimaneva tutto in mente. Lui mi colpì con una considerazione… <Stefano, anche il chirurgo sa operare, ma si scrive le cose, quello che può sfuggire, se le scrivi le ritrovi> E poi mi chiese <Dei 40 al corso chi era il leader del gruppo?> Lo guardai con un sorriso, mi sollecitò la risposta… <Devo dire la sincera verità? Ero io…> <Bravo – rispose Acconcia – ti pare poco?>”. Mi promise che sarebbe venuto ad assistere ai miei allenamenti, e lo fece davvero”.

Stefano Alari ospite della trasmissione di TV Prato “Il gioco è fatto”

-Mio babbo

“Mio babbo Fernando è stato il mio massimo estimatore, mi diceva <Ricordati, alleni in Eccellenza, sei uno dei trenta in Toscana, sei un privilegiato>. Non ti nascondo che le conoscenze, gli ambienti che ho potuto frequentare e frequento, mi hanno permesso davvero delle agevolazioni. Quando mi dimisi a Rignano mi rimproverò, disse <Se non erano convinti dovevi aspettare ti mandassero via loro> ”

– Amicizie vere

“Nel calcio ho anche amicizie vere, e la domenica se qualcuno magari soffre per un risultato mi dispiace. Nello spogliatoio desidero essere accettato per le mie idee, per la persona che sono, non voglio persone che mi tutelino, non si cresce in questo modo. Questo trasmetto a Niccolò e Leonardo, i miei figli. Non sono padrone del loro percorso, devono saper cadere e rialzarsi da soli”.

– La scuola

“Ho il diploma di odontotecnico, ero a scuola con Marco Guidi, ma di incisivo ho solo l’attacco, non l’ho mai fatto. Mi piace l’aria aperta, il contatto con la gente, non son fatto per chiudermi in laboratorio”.

“Che ci fanno con quei fogli in mano?”

Stefano è un odontotecnico… mancato!

-Pigrizia e coerenza

“Sono un allenatore che basa tanto sulla mentalità, ma riconosco di essere anche pigro, come ti ho raccontato prendo tutt’ora pochi appunti, mi fanno sorridere quelli che hanno i fogli in mano. Ma sono coerente, e la coerenza paga coi ragazzi, se tu sei vero loro lo sentono, mi hanno sempre riconosciuto di essere un uomo e mi porto dentro ognuno di loro, anche quelli con cui ho avuto difficoltà”.

– Sono distratto

“Sono anche distratto, la mia mamma me lo rimproverava, non so cogliere l’attimo, afferrare al volo l’occasione in qualsiasi campo. Il pallone mi è sempre bastato, poi non sono bravo a chiedere, preferisco che gli altri si accorgano di me”.

Rapporti speciali

– Matteo Ademollo

Matteo Ademollo, il capitano dell’Ovest, è stato il più rapido a inquadrare l’omone burbero che sono in apparenza. Mi confidò Mattia Duradonidirettore sportivo del Firenze Ovest n.d.r. – che dopo pochi allenamenti gli disse <Burbero eh, ma bono!>. Tra me e lui è nato uno dei rapporti speciali della mia vita. Qualche anno fa venne a vedere un mio allenamento all’Antella, quando finì la seduta mi chiese se era tutto lì e mi mandò a quel paese… Fece un comizio coi miei ragazzi, raccontando di quando portavo lui e i compagni dell’Ovest a correre alle Cascine e spuntavo da dietro le siepi a incitarli e mi davano di grullo. Però il bomber Bertini l’anno che non venne riconfermato e andò alle Piagge, continuava ad allenarsi con me…”.

– Pietro Bruni

“E’ stata una scoperta degli anni dell’Ovest. Ha una personalità particolare, ma ho ancora un rapporto con questo ragazzo che credo nessuno abbia instaurato. Quando lo chiamo io a telefono, è famoso per non rispondere (sorride…) ma con me lo fa, è venuto anche a parlare all’Antella, per quanto sapessi difficile portarlo da noi. Se andrà a Figline saprà far bene, lo merita”.

“Grassina non mi ha mai voluto”

Grassina non mi considera

“Abitare a Grassina e non essere stato mai considerato da loro come allenatore, soprattutto da un influente e storico personaggio che non voglio nominare ma di cui tutti sanno, mi ha fatto anche male, specie agli inizi. Grassina è il paese dei miei figli, ci vivo da 24 anni, e ci conosco tanta gente che mi vuole bene. Col tempo sono andato oltre chi volutamente mi stava facendo del male e godeva della situazione col gusto di farmi vedere che proprio <Non ti vogliamo>. E questo sebbene fossi più preparato di certi allenatori che ho visto sfilare. Adesso è normale che dopo tanti anni all’Antella ci sia rivalità, ma col massimo rispetto, anche con le Brigate Rossoverdi non siamo mai trascesi oltre qualche sberleffo, li conosco e apprezzo molti di loro”.

Anche Stefano Alari ha la sua Brigata

– Se grido va tutto bene

“Ai miei ragazzi dico <Vi dovete preoccupare quando non vi dico più nulla. Finchè vi grido in faccia, vi prendo per i capelli, tranquilli. Quando non dirò più niente vorrà dire che sarò arrivato>”.

I ragazzi di oggi, basta paragoni

– Generazione di fenomeni

“I ragazzi di oggi sono diversi da me, è chiaro. Ma come allenatore ho fatto un cambio di passo quando ho smesso di fare il paragone fra la nostra generazione e la loro. Se invece di guardarli con battute tipo <Questi quando giocavo io non facevano nemmeno la doccia> cerchiamo di entrare dentro il loro vissuto, magari trasmettendo una po’ del nostro calcio e provando a spendere qualcosa in più, facciamo loro un favore e ci ritornano emozioni impareggiabili.

A 19 anni ero un privilegiato, guadagnavo 700 mila lire e non erano poche, ma ci si accontentava della pizza, oggi magari vogliono mangiar bene. Però hanno grande responsabilità, l’hanno dimostrato accettando di chiudersi in casa, sanno impegnarsi. Con loro nello spogliatoio parlo di tutto, anche della droga, dei pericoli, gli raccomando di non fare sciocchezze. Il rapporto coi ragazzi è la mia vittoria più bella”.

Andrea Dolfi, sofferenza e rinascita

– Quando il dolore bussa alla porta

“Negli anni all’Antella ci è successo di tutto. A novembre 2016 ricordo l’incidente con lo scooter di Andrea Dolfi, fu drammatico, rimase in coma. Per fortuna si riprese e a verso fine campionato lo portai in panchina con me, gli voglio bene anche se l’anno scorso non è voluto rimanere all’Antella e io sono permaloso (sorride…). A Castelnuovo dei Sabbioni è una partita decisiva, in classifica siamo dietro al Laterina di Marco Becattini. Si fa male un difensore (era Niccolò Mignani, il web ci soccorre clicca qui per la cronaca di quella partita) lui è incredulo quando scelgo e lo metto. Come finisce? Si vince 2-1, gol di Andrea Dolfi, ho pianto per quel segno del destino. E alla fine col Laterina fu sorpasso.

Un momento della lunga chiacchierata di Almanacco con Stefano

Federico Bani, Andrea Papi…

Ho perso Valerio Fornari, che ha saputo dirmi cose fortissime, a lui ho fatto promesse che sto mantenendo. Penso ancora a Federico Bani, un ragazzo che ha avuto un incidente e non è ancora tornato a giocare. E poi Andrea Papi, lo prendemmo quattro anni fa. Andrea aveva perso il padre, sono diventato per lui una figura particolare, insieme all’allenatore dei portieri Enrico Doria, poi arriva il dramma con lo scooter e l’amputazione della gamba, ci ha dilaniato, penso anche a Lapo Tacconi che lo considera un fratello minore.

Il ricordo di Nicholas Faccioli

In ultimo in ordine di tempo Nicholas Faccioli, ragazzo del 2001 che avevo preso dall’Aglianese, un carattere forte, comincia negli Juniores, vuole smettere. Lo prendo con me in prima squadra, segna gol pesi per la salvezza, nella stagione che si ferma per il Covid. A febbraio scorso arriva la notizia che non c’è più (dopo un altro incidente con lo scooter n.d.r.). Lui, come altri, sono i miei ragazzi. Ragazzi che mi hanno detto delle cose che porterò sempre dentro, Nicholas mi mandò un messaggio di gratitudine a fine campionato, lui così introverso”,

Il mio calcio, la mia città

– Un calcio semplice

“Mi hanno etichettato come <palla lunga e pedalare>. Non sono Pep Guardiola, il mio è un calcio semplice, anche se molti allenatori fra i dilettanti potrebbero far bene anche in altre categorie. Il difensore deve difendere, il portiere parare, poi piano piano ci si mette dentro roba. Siamo dilettanti, ci si allena alle sette di sera fra muratori, studenti, in un posto dove a stento ci si vede l’un l’altro. Chi fa il professionista con uno staff di una dozzina di persone vede altre cose. Non ho nemmeno il preparatore atletico, eppure devo fare un calcio sulla corsa, perché spesso a livello tecnico sono inferiore”.

Firenze, la mia città

“Per Firenze da ragazzo facevo a pugni, nella difficoltà accorriamo l’uno per l’altro, però stiamo antipatici e non per caso. Ce lo insegna la storia, i nostri antenati hanno costruito meraviglie che il mondo ci invidia, ma abbiamo tanti difetti. Siamo chiusi, rompiscatole, cerchiamo la polemica, l’ironia è spesso sarcasmo. Certo, abbiamo tante virtù”.

– La lettura, la briscola

“Leggere mi appassiona, presi la fissazione coi libri di Dan Brown, li portavo con me anche quando facevo consegne col furgone. Mi piace giocare a briscola a coppie e a scopone scientifico, dove c’è da pensare, lì posso fare i bluff che non mi piacciono nella vita”.

“In Sardegna mi ricarico”

– La mia spiaggia

“La mamma sarda mi permette di avere una casa in Sardegna, sulla mia spiaggia davanti a Tavolara, a Porto San Paolo, ricarico le batterie. Quando vado verso il porto di Livorno so di andare incontro alla mia terra, anche se non sono nato lì. Ho tante amicizie lì, ad esempio Michele Zarrillo, la mia pigrizia adora la vacanza in panciolle. Il mondo l’ho visto tutto con Piero Angela, l’Amazzonia con lo zaino in spalla la lascio ai miei amici, anche se qualche viaggio in Europa, a Berlino, Parigi, Amsterdam, da giovane l’ho fatto. Ora mi muovo solo per la Sardegna, per seguire la Fiorentina, oppure nei dintorni nelle domeniche libere, con la mia compagna Susanna, una riscoperta che ho fatto con lei. Amo il Chianti, il verde, Volterra, Siena…”.

– I nonni

“Mia nonna faceva tutto in casa, mio nonno aveva tantissime pecore e mi portava sul cavallo con sé, di quel bambino porto con me l’amore per le cose semplici”.

– Sull’isola deserta mi porterei…

“La solitudine mi piace, anche al mare d’inverno, mi dà senso di libertà. Adesso la soffro un po’, quindi penso più che altro a qualcuno con cui stare se mi va, magari dei compagni di briscola”.

– La superstizione per me è…

“Quando faccio il mio allenamento, ho sempre bisogno della sfida, deve svolgersi entro il tempo che stabilisco. Se non rientro in quel minutaggio mi va male tutto, in tutti i campi. Fabrizio Polloni, il mio amico allenatore della Sestese che è pure laureato in Scienze Motorie, mi dice che non sono normale…”.

Un amico da ritrovare: Giulio Longo

Stefano con il fratello Luciano, i cugini Alessandro e Alessio e alcuni degli amici storici: Alessandro Centamore, Armando Passalacqua, Roberto Ranfagni, Eraldo Passalacqua.

– Alla mia festa di compleanno inviterei…

“Ci sarebbero tanti addetti ai lavori, molti sono amici veri, come Marco Guidi, Stefano Rossi, Fabrizio Polloni, persone che vedo meno ma ci sono quando serve, come Fabrizio Bonadonna che ho conosciuto a Staggia e sta a Siena. Ma te li dico così, i primi che mi vengono in mente, ce ne sarebbero di sicuro altri. Poi i miei amici d’infanzia. Tra quelli che non vedo da più tempo, cercherei Giulio Longo, adesso dovrebbe essere un militare, un mio compagno di scuola di cui ho perso le tracce, era uno spettacolo di ragazzo, intelligente, ironico, ci siamo divertiti un sacco insieme”.

Vediamo se con l’Almanacco Calcio Toscano Stefano Alari e Giulio Longo si potranno riabbracciare. Carramba!

Intanto vi diamo appuntamento fra qualche giorno con la seconda parte del viaggio nella “vita e le opere” di Stefano Alari, nella quale ci faremo condurre di panchina in panchina nell’avventura che, ad oggi, prosegue dietro una scrivania.

Edoardo Novelli

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