Io proprio io: Alessandro Francini
Io proprio io: Alessandro Francini. L’Almanacco del Calcio Toscano torna a proporre gli approfondimenti con i personaggi del nostro mondo, siano calciatori, allenatori, dirigenti o semplici appassionati. L’ispirazione, ricordiamo ancora una volta, viene dalla rivista per ragazzi “Il Monello” che negli anni 70-80 chiamava la rubrica “Io proprio io“. Il terzo racconto di quest’anno ci porta a conoscere da vicino il nuovo allenatore dell’Antella, Alessandro Francini, attraverso il percorso calcistico legato prevalentemente a Settignanese e Rondinella, quello professionale di fisioterapista, e quello umano di marito, padre e uomo solare dai valori semplici e autentici. Un altro ritratto da gustare con attenzione, che vi affidiamo con la consueta raccomandazione agli “scrollatori” del cellulare: non abbiate fretta, salvate il link e leggete con calma. Tempo di lettura circa 9′
di Edoardo Novelli
Alessandro Francini, che belva si sente?
La prima risposta di Alessandro arriva dopo un “Ah, bella questa!”, cui fanno seguito un sospiro e un lungo silenzio, fin quando gli occhi si illuminano nel sorriso e le parole scorrono subito come acqua di sorgente…
“Mi sento un leone, in questo momento un leone in gabbia. Ho tanto furore, passione, voglia di fare. Da fine stagione ho vissuto cinquanta giorni intensi, con molta delusione per tante parole e promesse che non si concretizzavano mai. Fin quando non ho trovato una nuova casa e un nuovo amore che mi ha ridato voglia di tornare a correre nella savana come il re della foresta. L’Antella mi ha dato le chiavi di una casa da costruire insieme, ho conosciuto persone appassionate che la vogliono difendere e proteggere, mi sento un po’ come il leone a capo del branco”.
Quel leone in gabbia come c’era finito?
“Dopo sei anni importanti alla Rondinella, era finito per me un ciclo emotivo, emozionale. E’ stata una stagione difficile, con la squadra forse più giovane in categoria per età media. Ho giocato spesso con tre 2002 e le quote, quindi anche sette giocatori sotto il 2000, i più esperti non erano mai tutti disponibili. Tornando a prima mi sentivo più gattino che leone. Mi aspettavo di chiudere velocemente una trattativa importante, fra i tanti nomi di società a cui venivo accostato. Dovevo trovare qualcosa che accendesse la belluinità, oggi accetto di buon grado il rischio di dover scendere di categoria perché credo di poter portare le mie idee in questo nuovo progetto. Mi avevano suggerito di attendere per rientrare in corsa durante la stagione, ma non volevo perdermi l’emozione di cominciare la semina dall’inizio”.
Il carisma di Stefano Alari
Cosa ti ha convinto in particolare a sposare questa scelta?
“La prima sensazione che ho avuto nel confronto con Stefano Alari mi ha fatto subito capire che avevo fatto bene ad accettare di incontrarlo, lì c’è bisogno proprio di quello che mi sento di dare. Nei pochi ragazzi che ho conosciuto finora all’Antella ho visto interesse, voglia fervida di ricominciare e me ne sento responsabilizzato. Un allenatore non è solo un modulo, mi piace coinvolgere i ragazzi, conoscere il loro mondo, magari a volte scontrarsi ma sempre per crescere insieme, gioisco dei loro progressi”.
Sei in un’età di mezzo ideale, hai maturato esperienza, come ti trovi con i più giovani?
“Ho smesso di giocare a 35 anni, all’inizio ho allenato giocatori più vecchi di me, rispetto ai diciottenni di quel tempo oggi è un altro mondo, il metodo e il linguaggio per comunicare si è evoluto, spesso un messaggino fa più di una chiamata, che magari nemmeno ti rispondono. Poi in campo metti le tue idee tattiche, fisiche, prima però c’è tanto lavoro sul lato umano. Ogni giocatore ha dietro il suo mondo, c’è perfino chi con la vittoria si frustra se ha giocato male, magari si sente in difetto come se tradisse la fiducia. In questo è importante lo staff, persone con la sensibilità di Daniele Santini, con cui ho avuto la fortuna di lavorare e che spero di avere ancora con me”.
Settignanese e Rondinella, amori di una vita
Hai iniziato presto ad allenare, rimanendo legato a due società per lunghi periodi, è una tua caratteristica?
“Tra giocatore e allenatore ho trascorso alla Settignanese 17 anni, passai alla Rondinella, per quanto fosse una panchina importante, col terrore di lasciare casa mia, di separarmi dal mio mentore Maurizio Romei, che sapeva consigliarmi rispettando sempre il ruolo che ricoprivo. L’inizio alla Rondinella fu traumatico, con 4 sconfitte nelle prime 4 partite, rendo onore al presidente Lorenzo Bosi che in quel momento mi ha sempre difeso, anche di fronte al sarcasmo della gente. Ho avuto la fortuna di incontrare lui e il direttore, Alessio Mamma, un grande uomo di calcio, persona presente e molto competente, fondamentale per la mia crescita in questi ultimi 5 anni. Due società che sono i miei amori, il primo di ragazzo che non scorderai mai e l’altro nella maturità, due famiglie insomma”.
Piacere, famiglia Francini!
A proposito di famiglia, raccontaci un po’ della tua…
“Mia mamma Donatella è stata per 42 anni maestra alla scuola materna, è un cardine della nostra vita, insuperabile. Le siamo molto legati, sia io che mia moglie, specie da quando lei ha perso sua mamma. Il babbo Luciano invece ha fatto il parrucchiere, a suo tempo anche ben recensito, è il classico tipo burbero che quando gioco la domenica non si perde una partita. Ho un fratello, Daniele, di 11 anni più giovane, che vive con la sua compagna a Santa Croce sull’Arno, lavora nei dintorni ed è un creator sui social di contenuti sportivi su calcio, basket e wrestling, lo trovi come IlFrancio27. C’è un legame molto forte fra noi, è stato mio testimone di nozze e io sarò celebrante alle loro nel prossimo dicembre, visto che saranno con rito civile”.
Il gol alla Pianese
Nei commenti social ai tuoi post, che per la verità non sono molti, ti chiedono di ricordare il gol mitico alla Pianese, ti va di farlo insieme?
“Il gol alla Pianese l’ho segnato con la Castelnuovese nel mio primo anno in Promozione, allenava Giorgio Garozzo, un tecnico che in due stagioni ha segnato molto la mia carriera. Era il 2000-01, avevo perso il posto da titolare dopo una buona partenza, entrai a 10′ dalla fine e feci un gol pazzesco all’ultimo minuto, con lo scavetto al portiere. Fu la quinta vittoria di fila in casa, la squadra veniva da una salvezza, tutto ci aspettavamo fuorché di vincere il campionato ma quello fu un segnale che ci dette forza. In attacco eravamo Andrea Rossi, Federico Mori e io, c’erano anche Calabrò, Degl’Innocenti”.
Da ragazzo Fiorentina e Pistoiese
Prima e dopo invece quali altre esperienze hai vissuto da calciatore?
“Sono cresciuto alla Settignanese, poi ho fatto gli Allievi Nazionali alla Fiorentina con allenatori Alessio Tendi e Claudio Piccinetti, forse una delle persone più sottovalutate nel suo ruolo, per la modernità delle sue idee. Giocavo poco ma stavo imparando tanto. Feci la stagione successiva in alla Pistoiese, poi nel 1996 venni convocato all’ultimo momento per il ritiro della prima squadra insieme ai migliori giocatori della Berretti. Il 16 agosto del ’96 ho esordito in Coppa Italia di C, Pistoiese-Cosenza 0-3 con tre gol di Luigi Marulla (allenatore arancione Enrico Catuzzi n.d.r.), andò bene per essere il più giovane in campo.
Poi un destino in … crociato!
Poi il fato ci ha messo lo zampino, ti sono toccati in sorte un paio di infortuni pesanti…
“Esatto. In quella stagione mi sono rotto il primo crociato, sono ripartito come aggregato alla rosa con allenatore Andrea Agostinelli, che portò la squadra in B, categoria oltre le mie possibilità. Così sono ripartito da Montale, ricordo i compagni Alessandro Chiarelli, Giuseppe Cobuzzi, Andrea Tei e un’annata pazzesca finita con la retrocessione e un gruppo fuori controllo. Nel 2000 arrivo a Castelnuovo dei Sabbioni, andiamo in Eccellenza e ci salviamo in quel di Sinalunga con un doppio playout (2-1 sia all’andata che al ritorno n.d.r.). Ricordo Giorgio Garozzo allenatore e giocatore, lui terzino e io esterno sulla sinistra, ci prendemmo tutta la partita ma l’importante era salvarsi. Il secondo crociato rotto, oltre a suggerirmi l’indirizzo professionale di fisioterapista che poi ho seguito, mi riportò a casa alla Settignanese, all’epoca in Terza Categoria. Siamo risaliti in Prima, ero il capitano, poi nel 2013 ho iniziato lì ad allenare”.
L’incontro con Eliana
Nel frattempo avevi conosciuto la ragazza che è poi diventata tua moglie, com’è successo?
“Ho conosciuto Eliana in treno nel marzo 2006. Lei è di Palermo, andava a trovare degli amici a Milano, dov’ero diretto anch’io per una partita del Milan di cui sono tifoso (toh, ancora la passione per un diavolo!). Avevo anticipato il treno di un’ora, essendomi liberato in anticipo dal lavoro, e me la ritrovai di fianco, ascoltandola parlar male dei suoi primi sei mesi fiorentini e delle difficoltà che stava incontrando, lei così aperta e portata a conoscere, davanti alla chiusura delle persone. Le dissi che forse conoscere un altro fiorentino l’avrebbe stupita, a prima vista il suo modo di fare un po’ sostenuto mi aveva già conquistato. L’inizio è stato un po’ travagliato, difendevo la mia libertà nei mesi in cui lei mi rincorreva, quando ho cominciato a farlo io scappava lei, poi in estate ci fermammo e da allora stiamo ancora insieme”.
Chi è di Firenze alzi la mano!
Ho visto le foto del vostro matrimonio, il Sacerdote indossava una stola arcobaleno che ho letto esprime la perfezione della Creazione divina attraverso il richiamo al numero sette, simbolo di pienezza. Che ricordi hai di quel giorno?
“Ci siamo sposati nel quartiere di Albergheria, dove si trova il mercato di Ballarò, il sacerdote era Don Cosimo Scordato, molto conosciuto a Palermo (è rimasto 35 anni in quella parrocchia, fino al 2020 quando è andato in pensione n.d.r.) per il suo lavoro sociale in strada accanto ai più deboli. Lo abbiamo voluto in tutti i modi come celebrante, e tutti rimasero colpiti dal tenore della cerimonia, una vera festa di comunità sebbene la chiesa barocca fosse imponente, grazie al suo enorme potere comunicativo, ricordo che chiese ai fiorentini di alzare la mano per riconoscerli…”.
Dopo il lancio del boquet in mare, i social documentano il vostro viaggio a Las Vegas…
“Il boquet lo lanciammo dopo una festa di cui non ho molti ricordi, e non mi chiedere perché! Pensavo a una vacanza “on the road”, ma senza strapazzo. Siamo stati a New York, San Francisco, Las Vegas, una sala giochi nel deserto costruita davvero bene. Lì passammo tre giorni di divertimento totale, dal giro in elicottero sul Canyon al banco giochi a bordo piscina, ricordi meravigliosi”.
Quando allenava Federico Chiesa…
A proposito di ricordi, sempre “googlando” il tuo nome sul web, incontriamo quelli di quando hai allenato Federico Chiesa bambino. Che ruolo hanno oggi gli istruttori di scuola calcio?
“Ho allenato i bambini per un anno soltanto, un’esperienza interessante ma faticosissima. Dirò una cosa impopolare, ma i genitori dovrebbero rimanere fuori, dagli allenamenti e dalle partite, i ragazzi sarebbero meno condizionati e si divertirebbero di più, senza scene di isterismo. Facevo ruotare tutti in porta, lo racconto spesso, anche Federico, era una cosa naturale a cui nessuno faceva troppo caso, a parte i genitori che contavano i minuti. Ai bambini direi salta l’uomo, prova il dribbling, tira al volo, se sbagli pazienza ci riprovi, è così che può uscir fuori il talento cristallino quando c’è. Vedo giri di campo a 9 anni, lo stretching a 10, un’assurdità per un fisico in evoluzione, per i tendini così delicati. Prima della tattica deve stare a cuore la formazione fisica, a 12 anni avrai tempo per mettere in campo la linea a quattro, la specializzazione del ruolo può aspettare. Ci vorrebbe un lavoro generazionale, sulle famiglie, sulle società, sulla troppa attenzione al risultato, difficile da sovvertire”.
Il Premio AIAC 2023
Nel tuo percorso di allenatore non sono mancati i riconoscimenti. Su tutti il Premio AIAC – Associazione Italiana Allenatori Calcio – nel 2023, una bella iniezione per quell’autostima che deve fare i conti, correggimi se sbaglio, con una sorta di “sindrome da brutto anatroccolo”…
“Mi ricordo bene la chiamata, mi dissero che ero stato votato come miglior allenatore del girone B di Eccellenza, al mio primo anno avevamo sfiorato i playoff ma non mi aspettavo tanto, gli chiesi se fossero davvero sicuri, l’altro premiato era addirittura Alberto Ramerini. E’ un riconoscimento che ha riempito d’orgoglio me, e penso anche tutta la Rondinella. Rappresentava il riscontro che il mio impegno, che toglie tempo al lavoro, a volte alla famiglia, era riconosciuto dai colleghi. Con l’allenatore dei portieri di quest’anno, Daniele Caioli, un uomo spogliatoio incredibile e grande amico, amiamo definirci <gli imbucati alla festa>. Ho iniziato alla Rondinella a 39 anni, in molti nell’ambiente nemmeno mi riconoscevano, tanti colleghi a fine partita se ne andavano senza salutare, mi dispiace molto ancora oggi quando capita perché scambiarsi la mano è un segno di rispetto, distensivo per chi lo vive e per chi lo osserva”.
L’amicizia nel calcio
Si può essere amici tra colleghi nel vostro ruolo?
“Ti dico subito di sì. Quest’anno ho stretto amicizia con tanti allenatori, mi vengono in mente Giacomo Chini, Stefano Bartoli, Iuri Pezzatini, Sandro Gardellin, Stefano Scardigli, ma ce ne sono altri. Con loro ho condiviso esperienze e scambiato segreti, punti di vista su come affrontare l’uno le squadre già affrontate dall’altro. Se la domenica perdi con un amico, di certo rosichi… Però alla fine vengo ad abbracciarti, cavolo. Quest’anno mi sono sentito più a mio agio, un po’ meno <brutto anatroccolo>. So quello che posso dare ai miei giocatori, l’esperienza di esserlo stato prima di loro credo sia fondamentale. Chi gioca meno deve essere sostenuto di più e non è ruffianeria. Con me nessuno resta indietro, in tanti mi chiedono consigli anche ad anni di distanza, mi si apre il cuore per la fiducia!”
Crescere senza snaturarsi
Hai compiuto un percorso che mi fa venire in mente la conversazione con Federico Marini (clicca qui) e la sua tesi di laurea <in itinere>. In sintesi, crescita è adattarsi alle persone che si frequentano ma senza rinunciare a se stessi…
“Federico Marini, prima che atleta e calciatore, è davvero un uomo. Te ne accorgi da come entra in campo, si rivolge alla panchina avversaria. Dirige i suoi, che è ben diverso da comandare e muovere a bacchetta, ti dà fiducia e ti responsabilizza. Il concetto che mi hai riassunto in quella frase è di una finezza incredibile. Quando si parla con una società devi capire dove ti trovi, ma non snaturarti, la politica del compromesso prima o poi crolla, in tutti gli ambiti di relazione. Ci sono persone che hanno un carisma che gli permette di dire “Io sono fatto così”, e ottengono pure risultati. Io la vedo come Federico, un’occhiata a volte fugace ti dà l’idea di chi hai davanti, te ne parlavo prima a proposito di Stefano Alari, un’omone che mi ha subito ben impressionato. Poi bisogna giocarsela, sapersi gestire, rispettando se stessi”.
Accendi un diavolo in me…
Nella tua bacheca c’è un altro premio, il “Diavolo d’argento” conferito dalla Settignanese nel 2022…
“Sì, faceva riferimento all’impresa della promozione in Eccellenza nel playoff di Santa Croce sull’Arno. E’ un premio importante quanto l’altro, è stato emozionante riceverlo da Maurizio Romei nella sala di Coverciano, ho ancora i brividi, anche ripensando al suo dispiacere quando me ne ero andato”.
Quella volta che…
Ti propongo una sorta di gioco, ricordando una serie di “Quella volta che…” Cominciamo, forse ti ripeterai, da quella volta che hai toccato il cielo con un dito…
“Certo, era il 12 giugno ’22 a Santa Croce sull’Arno, playoff col Quarrata Olimpia, una gioia infinita (due gol di Simone Rosi nel 2-1 che vale l’Eccellenza n.d.r.).
Quella volta che ti è mancato il terreno sotto i piedi?
“Eh, dopo le famose quattro sconfitte all’inizio della storia con quella che ancora si chiamava Ponte Rondinella. Non camminavo, mi sentivo davvero la melma alla gola”.
“Ho le anche murate”
Quella volta che non la smettevi più di ridere?
“Qui ce ne sono troppe. Con Eliana siamo molto complici, ci divertiamo insieme, magari in una serata libera a ballare. Osserviamo tanto, ci piace sorridere facendo cose come tanto tempo fa. Lei anche oggi con un ruolo importante in un Istituto di credito, e la nostra bambina di 4 anni, adora ballare latino americano, addirittura quello portoricano che comporta ancora più evoluzioni, e ha ripreso a fare danza del ventre. Con me è cascata male, da ex calciatore ho le anche murate!”.
Caspita, una moglie dirigente di banca non ti terrà mica, lo dicevamo prima, a bacchetta?
“Per niente, anche Eliana ha un po’ la sindrome di dover sempre dimostrare quanto vale. Ha una formazione umanistica, liceo classico e DAMS, fu chiamata in banca nel 2010 per un progetto di formazione manageriale, lavorò sei mesi a Milano, tra l’altro nel periodo in cui ero spesso fuori come fisioterapista della Nazionale di pallanuoto. Però ha tirato fuori il meglio di sé, fino a meritare le responsabilità che oggi ricopre”.
Il dolore che cambia la vita
Quella volta che hai pianto o avresti voluto piangere?
“C’è un evento drammatico che ha cambiato le nostre vite. La morte improvvisa di mia suocera Mirella ha creato davvero un prima e un dopo, ci ha catapultati nell’età adulta, eravamo non più bambini ma ancora ignari del dolore, che ci ha travolto d’improvviso. Il dolore che non ti fa mangiare né dormire. Per Eliana era la mamma, è stata una perdita anche per me che la stimavo tantissimo, poi veder soffrire la persona che ami è devastante. Nostra figlia (nata il 9 luglio 2020 n.d.r.) si chiama Miriam, è un modo in più per ricordarla”.
Ho fatto volare le borse…
Ultima coppia di opposti, partiamo da quella volta che hai perso il controllo…
“Mi vengono in mente diverse partite. Una su tutte in Promozione dopo un primo tempo con la Rignanese in cui perdevamo 0-2 (13 febbraio 2022 n.d.r.), ancora non era chiaro che squadra fossimo, per la prima volta ho fatto volare le borse dappertutto. Poi vincemmo 3-2 (gol di Renna, Enea e Cragno n.d.r.).
Un giocatore lo vedi dal coraggio
Al di là di un episodio, mi fa perdere il controllo vedere i ragazzi in campo senza coraggio, perdo le staffe e son pronto a perderle ancora. La vita è talmente dura e faticosa fuori da quel cavolo di campo, provo un vero dispiacere e perdo la testa se si fanno condizionare dall’ansia, dalla paura, non ci mettono il cuore. Ho smesso di giocare costretto dalle mie ginocchia, non avrei mai voluto farlo ma dopo le partite la domenica camminavo di nuovo il martedì, non era più cosa. Mi piace giocare anche col portiere, girare il pallone, ma sempre per provare soluzioni diverse, se da una parte batto la testa provo dall’altra, ma senza coraggio non c’è storia, conta più di qualsiasi modulo”.
Invece quella volta che ti sei trattenuto ma se perdevi il controllo chissà come finiva?
“In quest’anno tribolato in cui le cose non andavano tanto bene, mi sono morso tante volte la lingua, sia con la squadra che con lo staff e la dirigenza. L’ho fatto per il bene di tutto l’ambiente, per la prima volta abbiamo sofferto, ci ha fatto bene, e il senso di liberazione che ti dà una salvezza raggiunta è più forte della gioia di vincere un campionato… Quando capisci che davvero è finitaaa!!!”
Post fata resurgo
Un appendice di questo percorso può essere quella volta che “Post fata resurgo”…
“E’ la stessa di quando ho toccato il cielo con un dito… Tante persone che vogliono bene alla Rondinella hanno elaborato e scelto questo motto, ricordo tra loro anche Gabriele Caldieron e Ilaria Tesi. C’era piaciuto tantissimo e l’abbiamo fatto nostro dopo aver vinto la 1a categoria. L’anno dopo fu <E quindi uscimmo a riveder le stelle>”.
Riesci a dirmi un pregio e un difetto che ti riconosci o che ti vengono riconosciuti?
“Sono ansioso, la mia è una battaglia continua, mi chiedo di continuo se ho agito bene, se ho fatto la scelta giusta. Mi limita tantissimo nel godermi le cose, ma ci sto lavorando. Credo in me fortemente e sono il mio primo miscredente. Come pregio penso di poter dire l’ascolto, dedico tanto tempo cercando di ascoltare tutti, è anche una ricchezza per me. Prima del torto o della ragione esistono dei motivi dell’agire, voglio sempre conoscerli”.
Zanzibar, L’attimo fuggente, Forrest Gump e la Fallaci
Dammi di filata un viaggio, un film e un libro che porti nel cuore
“Con Eliana abbiamo viaggiato moltissimo, fra i tanti luoghi penso a Zanzibar. Ho toccato con mano il contrasto fra le strade fatte di terra non battute e il nostro residence con tutti i comfort, ho visto nelle scuole bambini salutarci come fossimo oracoli, con l’emozione negli occhi, e poi i colori, davvero unici. Però se mi dici <Partiamo domani dimmi dove> ti rispondo New York, un posto dove vivrei, vorrei andarci almeno una volta tutti gli anni, è un crogiuolo di persone diverse tra loro, ognuna libera di esprimersi senza essere squadrata dalle altre. Viaggiano a mille ma hanno giardini di una bellezza e di una pace in cui sanno prendersi le pause per respirare”.
Una vita, cento vite
“Due film su tutti che mi hanno sempre fatto riflettere e commuovere sono L’attimo fuggente e Forrest Gump. L’insegnante che vuol tirar fuori il meglio dai propri ragazzi, oltre quello che sta sui libri, rispecchia la mia filosofia di allenatore. Trovare il tartufo quanto altri ti hanno già detto che sei una rapa. Forrest invece è un brutto anatroccolo che vive cento vite, un po’ come immagino di poter raccontare io se un giorno avrò nipoti. Ho fatto il fisioterapista della Nazionale di pallanuoto fino alle Olimpiadi e il calciatore anche a livelli importanti, girando l’Italia. Ho giocato in Terza Categoria prendendo randellate come se non ci fosse un domani. Perché lì ero il giocatore più forte. Poi ho giocato in Eccellenza. Nel lavoro sono stato dipendente, quindi ho aperto uno studio di fisioterapia tutto mio. Nella vita mi sono sposato e abbiamo avuto una figlia quando qualche medico ci consigliava di non pensarci più.
Tutti meritano una possibilità
La frase “Stupido è chi lo stupido fa” rispecchia il modo in cui mi batto nel calcio, non esistono etichette a priori, tutti dovrebbero avere una possibilità. Mi viene in mente Filippo Marini, che ho avuto e avrò come match analist e collaboratore tecnico. Qualcuno ha storto il naso quando è arrivato alla Rondinella con la barba lunga, i capelli un po’ trascurati e la maglietta aderente. Non aveva piedi sopraffini ma ci ha lavorato sodo. E’ stato capitano segnando 6 gol in promozione e 4 in Eccellenza, diventando un appoggio per tutti. Tornando ai film, devo dirti anche Sapore di mare, a cui sono legato per i ricordi di adolescente, se lo passano a mezzanotte non vado più a letto”.
“Come libro scelgo Un cappello pieno di ciliegie di Oriana Fallaci, la storia della sua famiglia fin dai primi avi del 1600, della Toscana e di Firenze da quel tempo fino ai giorni nostri (è uscito nel 2008 n.d.r.). Ottocento pagine che mi sono fumate in un lampo. Non ha alcuna connotazione politica al contrario di altre sue opere”.
Rafting sì, ma niente tuffo!
I social documentano anche una giornata di rafting in Slovenia, segno di uno spirito temerario?
“Aaahhh! Quello per niente, però ricordo quella vacanza insieme agli amici con cui sono cresciuto negli ultimi vent’anni e ho condiviso tanto divertimento, Francesco, Giovanni e Lorenzo. Siamo stati a Kobarid, l’odierna Caporetto, poi rafting sul Piave e giorno a Portorose sulla costa con serata al Casinò! Ah, c’era stato anche il tuffo dal ponte tibetano ma io son rimasto sulla barchetta…”.
La scaramanzia
Una vocina mi ha suggerito di chiederti se sei scaramantico?
“Conosci allenatore che non lo è? Ho cercato di migliorare molto quest’aspetto per non condizionarmi, ma non ci si può staccare. La formazione si scrive il sabato sera e non la domenica mattina, dare i numeri ai giocatori sempre in un certo ordine. Se la domenica vinci il venerdì dopo fai lo stesso allenamento, siamo andati avanti due mesi così!”
Terminiamo con lo Zodiaco, nato il 4 maggio che tipo di Toro sei?
“Sono un po’ chiuso nel mostrare emozioni, ma non introverso. Sono metodico, ho la mania del controllo e nel calcio questo è impossibile. Conservo con orgoglio gli affetti e soffro rabbiosamente nel perdere le amicizie. Diventando allenatore mi è successo con alcuni ex compagni, per il solo fatto che li facevo giocare poco. L’aspetto umano deve star fuori da certe dinamiche, allora prima che rapporto era?”
Cerchi di fare tutto senza sprecare energie, massimo risultato col minimo sforzo?
“No, questo proprio no. Sono un lavoratore infaticabile, mi dicono che sono un pazzo quando dopo una giornata di lavoro a studio mi fiondo all’allenamento, pensando di andare a rilassarmi…”
Però senz’altro sei spontaneo…
“Senza dubbio, preferisco essere, come dici tu, io proprio io. Se invece mi devo impostare esce fuori un lato non vero che non mi piace, e faccio brutte figure”.
Cosa farai da grande?
“Porterò l’Antella in Eccellenza, se la trovassi già là darò tutto per tenercela fin da subito”.
Non importa essere nati nel cortile delle anatre quando si è usciti da un uovo di cigno!
Hans Christian Andersen – Il brutto anatroccolo
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