Silenzio, parla Stefano Alari!
Silenzio parla Stefano Alari.
di Edoardo Novelli
Dal 5 marzo scorso, giorno dell’annuncio di Agostino Iacobelli come nuovo allenatore dell’Antella, si sono perse le tracce di Stefano Alari, da nove anni anima passionale della società. L’Almanacco è andato a stuzzicarlo, nel suo esilio volontario in “ritiro spirituale” al Bombone sui colli di Rignano. Tempo di fare mente locale ed eccolo scendere a valle per una chiacchierata che chiude definitivamente il capitolo, lungo e costellato di emozioni, con la società di cui è stato allenatore e direttore sportivo, fino all’ultima breve esperienza di nuovo in panchina.

Uscita di scena dolorosa
– Stefano, siamo ai titoli di coda?
“Direi proprio di sì. Dopo nove anni si chiude un capitolo importante della mia vita calcistica e personale. L’Antella in questi anni è stata soprattutto quotidianità, vissuta a pieno, dal campo di calcio alle serate in agosto del “Pizza day”. Dai tifosi che oltre ad esserlo della squadra sono stati anche i miei. L’Antella mi ha dato tanto: amici, conoscenti e Susanna, la mia compagna.
Esco di scena in modo spiacevole, per come alcune persone non hanno portato rispetto ai valori in cui credo.
Mi ha fatto male la maniera subdola, la mancanza di chiarezza sulla decisione del mio allontanamento, tramando alle mie spalle durante cene cospiratorie.
Sono stato fatto fuori con una telefonata di tre minuti scarsi. Da allora sono rimasto in silenzio, era giusto così, in attesa del rientro del patron per avere chiarimenti. Dopo una lunga chiacchierata con lui, confrontandoci su diversi argomenti, sono rimasto dell’idea che sia persona disponibile e generosa.
Adesso posso di nuovo dire la mia, e ufficializzare la mia uscita definitiva, visto che ancora nessuno lo ha fatto”.
L’ultima stagione partita di rincorsa
– In estate sembrava compiuto un altro miracolo, con l’ammissione in Eccellenza, poi cosa non ha funzionato?
“In questi nove anni abbiamo compiuto diversi miracoli. Fra grandi gioie ed eguali sofferenze, siamo rimasti a lungo in una categoria per qualcuno al di sopra dei nostri mezzi. Sono arrivato con la squadra in Promozione, l’ho portata in Eccellenza nel 2016 e lì l’ho lasciata il 3 marzo 2025.
L’ultima stagione è iniziata di fatto a fine luglio, preparata in fretta quando abbiamo avuto la certezza di disputare l’Eccellenza grazie alla vittoria in Coppa.
Qualche tempo prima avevo scelto un allenatore di categoria, Alessandro Francini, una persona che stimo e che durante la stagione ho difeso, sostenuto anche dal patron della società, nei confronti di chi voleva mandarlo via prima di quanto sia poi accaduto.
Ho cercato di formare una squadra secondo le indicazioni e gli obiettivi che mi venivano richiesti, con i necessari ritocchi e la riconferma del gruppo storico. A quei ragazzi avevo fatto presente gli obiettivi diversi e più sfidanti, la richiesta di tenere un passo diverso per rimanere sul quel treno, in un’Antella che non era più quella a cui erano abituati, in cui io stesso diventavo di fatto un dipendente”.
Un mare in tempesta
– Poi proprio dalla frattura con quel gruppo è arrivato il fulmine cui è seguito un mare di tempeste…
“Le cose hanno cominciato a non andare nel modo preventivato.
E’ arrivato il 5-1 subito in casa dalla Baldaccio all’inizio di ottobre, qualche tempo dopo c’è stato l’allontanamento del gruppo di fedelissimi che ha fatto tanto clamore. Una scelta che non rinnego, ma condivisa da tutta la società, come lo era stata mesi prima quella non confermare Claudio Morandi, allenatore che avevo sostenuto almeno fino all’esito dei playoff.
Nello spogliatoio a comunicare la decisione ai ragazzi, proprio quelli coi quali ho vissuto momenti straordinari e indimenticabili, mi hanno lasciato da solo, forse perché dietro alle mie spallone ci si nasconde bene.
Molti, anche al Circolo del paese, identificano l’Antella nella mia persona, mi rimproverano pure la decisione di aver portato la squadra a Bagno a Ripoli, ma non è così, anche se ho preso delle decisioni discutibili, che non rinnego, e non mi sono mai tirato indietro mettendoci la faccia, la passione e il cuore.
Il ritorno in panchina
Dopo quell’episodio la squadra si era ripresa con alcuni buoni risultati, abbiamo portato nuovi giocatori, ma al sopraggiungere di nuove sconfitte è stato deciso di cambiare allenatore.
Ho dato la mia disponibilità, in primis al presidente Claudio Goretti, a tornare in panchina, dopo aver sondato il terreno con diversi tecnici anche di prima fascia.
In otto partite con tutte le squadre migliori nessuno ci ha messo sotto e ho fatto 8 punti. All’esordio 1-1 alla Rondinella, Scandicci e Mazzola con noi hanno pareggiato al 94′. Lo stesso la Lastrigiana, abbiamo fermato l’Affrico e battuto la Fortis, la squadra più alla nostra portata. Due le sconfitte, a Colle, per un rigore molto generoso, e con la Baldaccio.
Poi quando potevamo giocarcela con squadre più abbordabili, pur col massimo rispetto per tutte, mi hanno fatto fuori, senza una motivazione tecnica. Credo che con la Castiglionese, nel derby col Grassina che da sempre mi surriscalda il cuore, poi con Sinalunghese e Foiano, fino alla mezza amichevole con l’Asta all’ultima giornata, non avrei fatto peggio. Ho lasciato la squadra quint’ultima e lì è rimasta”.

Per colpa di chi?
– Pensi che lo spogliatoio, la volontà dei giocatori, abbia avuto un ruolo nel tuo allontanamento?
“Non credo sia dipeso dallo spogliatoio, per altro un mosaico molto eterogeneo per storia calcistica e motivazioni, ben diverso da quei ragazzi che porterò sempre nel cuore per quanto ci siamo dati, anche se adesso non ci parliamo.
I giocatori si erano messi a mia disposizione come lo erano di Francini che c’era prima e lo sono stati di chi è venuto dopo.
Penso piuttosto al disegno di qualcuno, timoroso che le cose volgessero al peggio, facilmente influenzabile, circondato da persone che mi piace chiamare leoni da tribuna. E’ molto comodo sparare sentenze e vedere tutto semplice, complicando la vita a chi in quel momento si dibatte nelle difficoltà, dando tutte le colpe a un capro espiatorio.
Procuratori, amici degli amici, in tanti hanno gravitato intorno all’Antella badando al proprio interesse, specie adesso che ha risorse economiche come mai prima e fa gola a tanti.
In questa società ho fatto l’Eccellenza con budget irrisori, ho valorizzato tanti ragazzi dando loro fiducia. Forse ero troppo ingombrante per il rinnovamento totale che si sta verificando”.
Il tempo dei saluti
– Nel tempo dei saluti a chi va il tuo pensiero in particolare?
“In conclusione penso alle amicizie che ho condiviso, ai tifosi, alla Casa del Popolo.
Sento di rivolgere un pensiero colmo di affetto e gratitudine ad Alessandra Baroni, che per amicizia nei miei confronti ha scelto di lasciare la segreteria dell’Antella, e a Fabrizio Cantini, altro dirigente al quale sono molto legato da un rapporto autentico.
Mi piace ricordare come durante la mia permanenza si siano alternati alla presidenza gli avvocati Francesco Maresca e Marco Ronchi, persone di carisma e prestigio. Come lo era Valerio Fornari, presidente e tifoso che ricordo sempre, ha saputo dirmi cose fortissime. A lui, prima che mancasse, ho fatto la promessa di rimanere all’Antella qualunque cosa accadesse. L’ho mantenuta fin quando è dipeso da me e mi è stato possibile, mi rincuora che – almeno a livello economico – adesso sia in ottime mani.
Saluto anche il mio secondo Giacomo Pisaneschi, un uomo vero che sono certo diventerà un ottimo mister; e i ragazzi della Juniores, che nel momento topico della stagione son stati lasciati un po’ da soli, ma hanno fatto un ottimo lavoro guidati da Alessandro Salvadori“.
Il futuro è qua
– Adesso cosa farà Stefano Alari?
“Per prima cosa vado a rigenerarmi in Sardegna con Susanna e faccio il nonno con mio nipote Michelangelo. Il mio ruolo è direttore sportivo, o D.G.. Sono libero, abbastanza conosciuto, forse era il momento giusto per cambiare verso nuove sensazioni. Non vedo l’ora di provarle”.
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