Almanacco del Calcio Toscano

Io proprio io: Giorgio Rosadini

Io proprio io: Giorgio Rosadini.  L’Almanacco del Calcio Toscano propone un altro viaggio interiore di ispirazione antica, in questa rubrica che mancava da un po’. Il primo racconto del 2025, il numero 19 della serie (clicca qui per la raccolta completa) ci porta a conoscere Giorgio Rosadini, da poco Direttore Tecnico del Grassina. Una persona di assoluta integrità morale e schiettezza, oltreché grande conoscitore del mondo del calcio dilettanti e giovanile. Vi raccomandiamo ancora una volta di prendervi un po’ di tempo e vi auguriamo una buona – e speriamo piacevole – lettura. Soffermatevi anche sulle foto, tra il passato su tante panchine e un presente più intimo di valori autentici e innate passioni.

a cura di Edoardo Novelli con la collaborazione di Andrea L’Abbate

Giorgio con Edoardo Novelli nel suo nuovo ufficio dirigenziale

Le motivazioni della nuova sfida

Giorgio Rosadini si rimette in gioco. E’ il nuovo Direttore Tecnico del Grassina. Quali motivazioni l’hanno spinta ad accogliere questa proposta?

La sfida che mi affascina di più è la gestione tecnico organizzativa e la crescita anche mentale dello staff, con tutto quanto gli gravita intorno. Qui a Grassina vedo possibilità di crescita e miglioramento. Ho trovato dirigenti motivati, un ambiente sano, degli impianti eccellenti. Ci sono due campi in sintetico oltre a uno da calcio a 5, una struttura all’avanguardia, con una grande potenzialità di attrazione verso il territorio. Già in questa stagione ci sono stati ottimi segnali di successo e crescita: la vittoria del campionato Allievi e la conferma della categoria regionale con la Juniores (32 punti nel girone di ritorno dopo i 12 all’andata n.d.r.). L’obiettivo per la Prima Squadra può essere la categoria serie D in pianta stabile; per raggiungerla, tuttavia, occorre una crescita e un progetto, ancor prima del budget.

Montevarchi, un capitolo fondamentale

Otto anni a Montevarchi non sono facili da riassumere in poche parole, ci vogliamo provare?

Sono arrivato nel 2015. Trovai la squadra in Eccellenza e il settore giovanile in grande crescita, i Giovanissimi regionali appena promossi in Elite, gli Allievi ci salirono l’anno successivo.
In poco tempo, pur con un budget relativo, il progetto di puntare a individuare e far crescere i giovani ci ha condotto fino alla serie C.
All’inizio proponevo forse qualcosa di prematuro rispetto al contesto, al settore giovanile mancavano esperienza e strutture, anche se qualche individualità emergeva comunque.
In seguito abbiamo raccolto i frutti del lavoro, vincendo la serie D con l’età media più giovane e un budget contenuto.
Abbiamo raggiunto campionati regionali di Elite con i giovani come protagonisti. Portai con me Roberto Malotti, che avevo avuto come giocatore a Grassina. C’è sempre stata grande affinità, abbiamo conoscenze e metodi comuni, credo che se le esigenze di lavoro non lo avessero condizionato, avrebbe potuto certamente ambire al professionismo.

Con voi il Montevarchi è tornato in Serie C, ma solo per due stagioni. Cosa ha funzionato e cosa invece no?

La serie C è molto impegnativa per la struttura e l’equilibrio finanziario della maggior parte delle società. Vigono obblighi contrattuali, però mancano i ritorni economici per sostenerli; le piccole realtà fanno fatica.
Il primo anno andò bene, grazie alla qualità dei nostri giovani e al lavoro svolto. Poi, complice un problema di salute di Roberto Malotti, e la difficoltà di trattenere alcuni giocatori attratti da contratti economicamente più vantaggiosi, siamo retrocessi. Così mi sono tirato indietro, vivo a Montevarchi, la società deve andare avanti e viene prima di tutto. Ha comunque la struttura per riprendere il percorso interrotto.

Un percorso che contava di intraprendere Nico Lelli, ma non ne ha avuto il tempo. Per quale ragione secondo lei?

In un ambiente come Montevarchi, vivere l’esperienza del professionismo ha creato molte aspettative, sta alla società riportarle nella giusta dimensione. Nico Lelli ha portato idee e principi innovativi, che però avevano bisogno di tempo, protezione e complicità, come ne ha avuta col Ghiviborgo, e come succede altrove. Penso per esempio a Piancastagnaio, a luoghi dove ci sono meno distrazioni rispetto a comuni e città più grandi. Senza dimenticare che se il terreno di allenamento non è quello dove poi giochi, fai più fatica. Adesso poi che il settore giovanile del Montevarchi può disporre di un sintetico, i risultati si vedranno sicuramente.

Due anni di inattività, l’approccio con il Siena

In questi due anni le sono capitate altre proposte?

Sì, qualche approccio è capitato, ma non avevo incontrato situazioni ideali per il ruolo che più mi si addice, quello di Responsabile Tecnico; tranne un accordo di massima col Siena, nel caso l’avesse acquisita Paolo Toccafondi. Non sono un direttore sportivo ma un tecnico, mi piacere vedere di persona e parlare di calcio, parlare di soldi non fa per me. Sono convinto che solo attraverso il lavoro e la mentalità giusta un giovane possa crescere e magari raggiungere categorie superiori. Intorno serve una società organizzata, uno staff che possa crescere dal punto di vista mentale. Ttutte cose, come dicevo, che penso di trovare nel Grassina.

Re Giorgio e Calciocapace

Cerchiamo di approfondire un po’ la sua storia personale. La chiamano Re Giorgio, a chi deve questo “titolo nobiliare”?

Il merito è di Giovanni Giannelli, conosciuto con l’emblematico nome di Calciocapace, grande conoscitore del calcio dilettanti. Mi seguiva da tempo come giovane e ruspante allenatore di provincia, già ai tempi di quando allenavo in Promozione a Cavriglia, poi cominciò a venire agli allenamenti a Grassina, abitando qui vicino. Ero un po’ innovativo, per metodi e approccio, negli anni ha continuato a seguirmi ed è lui che ha tirato fuori “Re Giorgio”.

Com’è entrato il calcio nella sua vita e come è diventato poi così fondamentale?

Sono cresciuto in oratorio al Pestello, una frazione di Montevarchi, dove il Parroco Don Luigi Savelli riusciva attraverso lo sport ad avvicinare tanti ragazzi. Ho cominciato lì a praticare sport dedicandomi al calcio e vivendo in mezzo a tanti giovani, accompagnandoli verso l’età adulta, una predisposizione che nel tempo è diventata la mia caratteristica anche di formatore. Ricordo che abbiamo fatto dei campionati regionali, vincendo anche contro la Fiorentina; oggi la prima squadra del Pestello fa la Seconda Categoria (nel 24-25 salvezza ai playout n.d.r.).

La passione per la montagna

Quindi possiamo dire che si sentiva un po’ Re Giorgio fin da giovane?

Per la verità nella vita, oggi come allora, sono riservato, attento alle amicizie che scelgo di frequentare. Seguo le partite defilato, nella parte più laterale della tribuna, quasi sempre da solo.
Però crescere in oratorio insegna a stare in comunità, a condividere. Mi sono avvicinato al ruolo di istruttore di calcio come modo per continuare a stare con i giovani, non ero bravo a giocare a calcio ma mi sentivo in grado di insegnare.
Ricordo che nel 1970, avevo 18 anni, il Parroco del Pestello affidò a me e ad altri tra i più grandicelli dei pulmini per raggiungere una residenza dei Salesiani a Santa Fosca in Val Fiorentina (nelle Dolomiti bellunesi n.d.r.). Facemmo una vacanza in una sorta di colonia montana, aperta a ragazze e ragazzi, una cosa che precorreva davvero quei tempi di classi spesso ancora separate. L’esperienza andò avanti per tre anni, in quel gruppo ho conosciuto Marta, che sarebbe diventata mia moglie. Dormivamo in cameroni, giocavamo a calcio nel campetto adiacente, facevamo escursioni e mi innamorai della montagna, tanto che di recente abbiamo comprato una casa a Pescul, proprio in quella zona, coronando un sogno.
Tra l’altro il CAI a Montevarchi, di cui sono socio fondatore, è nato come costola di quello di Arezzo, da questa mia grande passione, che condividevo con un collega di lavoro.

La famiglia, impegno e grande gioia

Ha nominato sua moglie, è una sua tifosa?

Mia moglie è una santa. Gestisce ancora un negozio di abbigliamento intimo in via Roma a Montevarchi, è la più longeva commerciante del Comune. Faceva la commessa in un negozio di tessuti di lana, poi la titolare è deceduta e abbiamo rilevato questa licenza. Allo stadio non ci viene mai, anche perché (ride n.d.r.) ricordo che venne una volta a Colle Val d’Elsa col Savona, fu la prima sconfitta dell’anno! E’ serena se mi vede contento.

Album di viaggi per Giorgio, con il figlio Luis e il nipote Olmo

La sua famiglia chi altro comprende?

Due figli e un nipote. Mia figlia Azzurra è laureata in Scienza dell’Educazione, gestisce un Tour Operator (Viaggi d’Ambra n.d.r.) che realizza viaggi su misura in Toscana e in Italia, soprattutto per turisti americani. Ha un figlio che ha appena compiuto 15 anni e gioca a basket, di nome Olmo. Nel 1998 con mia moglie abbiamo adottato Luis, un bambino di 10 anni dal Guatemala, attraverso un Istituto religioso, oggi lavora nel commercio. Ho sempre vissuto la famiglia come un grande impegno, ripagato da grande gioia.

Giorgio Rosadini allenatore, la sua prima panchina fu con i Giovanissimi del Montevarchi, leva calcistica classe 1962

“Per allenare scappavo di caserma!”

Immagino sia stato anche un valido calciatore, è così?

Per la verità da giovane ho giocato solo in Terza Categoria, nell’ U.S. Pestello appunto. Ho iniziato ad allenare lì a vent’anni compiuti da poco, con i Giovanissimi del Montevarchi classe 1962. Facevo il militare a Orvieto e scappavo il sabato per andare ad allenare a Montevarchi, avevo 21 anni. Il mio maestro era Silvano Castellucci, che poi ho seguito a Levane prendendo Allievi e Juniores.

Giorgio Rosadini allenatore del Laterina Under 20, siamo a metà anni ’70

Quindi ho fatto la Terza Categoria e il settore giovanile a Laterina nel 1976, l’anno successivo fummo campioni regionali Under 20 e nel 1979-80 vincemmo il campionato di Terza Categoria. In seguito nella Gemini 81 di Ponticino ho vinto nuovamente il regionale Under 20. Quindi ho vinto il campionato di Terza Categoria a Mercatale Valdarno, iniziando un percorso che dalla Seconda mi ha portato fino all’Interregionale.

Giorgio Rosadini allenatore del Grassina

Un cammino sempre innovativo

Quali altre tappe ricorda come le più significative del suo percorso in panchina?

Nella stagione 85-86 allenavo a Cavriglia, in seguito andai a Foiano in Promozione arrivando secondo dietro la Virtus Chianciano, e nel 90-91 giunsi per la prima volta proprio qui a Grassina. Era la stagione dopo la quale sarebbe nata l’Eccellenza e la conquistammo insieme a Sangiovannese, Foiano e Staggia, piazzandoci al terzo posto.
Dell’anno successivo in Eccellenza ricordo le sfide storiche con il Livorno (che vinse il campionato a 57 punti a +16 sul Pontassieve n.d.r.), noi col Grassina arrivammo quarti.

La Colligiana 1993–94 con cui Rosadini ha sfiorato la promozione in Serie C

In seguito ho allenato la Colligiana in Serie D nel 1993-94 – denominata in quel periodo Nazionale Dilettanti n.d.r. – ; portai delle innovazioni, arrivammo secondi dopo un testa a testa fin quasi alle ultime giornate con la Pro Vercelli, che vinse grazie anche a un paio di rinforzi garantiti dalla collaborazione con la Juventus.

La Colligiana in testa alla classifica prima di “quella” sconfitta con il Savona, unica presenza della signora Marta alle partite del marito Giorgio

C’era Daniele Tognaccini preparatore atletico, mio ex giocatore con cui avevo vinto in precedenza un campionato di Promozione. Daniele poi si è affermato a Udine con Alberto Zaccheroni e al Milan creando il Milan Lab. In attacco era decisivo Claudio Mastacchi, che mi ha seguito altrove in altre stagioni.

Come allenatore si è fermato alla serie D, le sono capitate opportunità superiori?

In quel periodo era più complesso farsi notare, anche quando facevi bene. Ebbi dei contatti con società di C, anche Montevarchi e Pistoiese, ma non ne nacque nulla. Ho allenato a Pontassieve, Castelfiorentino, Orvieto, sono tornato due anni a Colle, nel 2007 a Grassina, e via dicendo, sempre però in ambiti dilettantistici, spesso raccogliendo sfide difficili verso salvezze complicate.

Gli anni alla sede Ferrari di Modena

Immagino che abbiano influito anche le sue priorità. Che lavoro svolgeva e quanto è stato importante?

Sono stato impiegato tecnico in un’industria chimica a Sangiovanni Valdarno, la POLYNT. Mi occupavo di ricerca su nuovi materiali, come le fibre di carbonio. Ero specializzato in schiume poliestere, una sorta di resine alleggerite resistenti agli urti. Ho lavorato tanto nella sede della Ferrari a Modena, collaborando a realizzare la Testarossa. Poi ho scelto di chiedere il part-time, che mi permetteva di allenare. Tuttavia non ho mai rinunciato alla sicurezza che poteva garantirmi quel lavoro, pensando alla famiglia, come ho imparato a fare fin dai tempi dell’oratorio.

Campionato di Terza Categoria 1979-80, Laterina primo classificato

Da allenatore a direttore tecnico

Una scelta di vita che ha accompagnato anche il suo percorso dirigenziale, com’è passato dalla panchina alla scrivania?

Tornai all’Arno Laterina con Cesare Margiacchi, l’attuale responsabile scouting a Montevarchi, centrando l’obiettivo di conquistare le categorie regionali con i Giovanissimi e gli Allievi. Da allenatore stavo diventando dirigente, in seguito vennero due anni a Rignano con il presidente Andrea Bacci, che ho seguito a Lucca nel 2013-14 nel ruolo di Direttore Generale, vincendo la serie D con Bruno Russo (già giocatore rossonero per 13 stagioni n.d.r.) come Direttore Sportivo, e Guido Pagliuca allenatore. Per la serie C avevo impostato una collaborazione con Cristiano Giuntoli, ex mio giocatore che avevo allenato a Colle Val d’Elsa e grande scopritore di talenti, che era a Carpi in serie B. La cosa creò qualche dissapore, così mi defilai. Quindi è arrivata l’esperienza di otto anni a Montevarchi.

Favorevole alle quote e alle seconde squadre professionistiche

Una persona della sua esperienza e del suo carisma come interpreta il momento del calcio dilettantistico, specie alla luce delle recenti riforme?

L’unica ancora di salvezza nel mondo dei dilettanti, senza più il vincolo e con i premi di preparazione inadeguati, è trovare il modo di riconoscere il lavoro svolto, facendo giocare i giovani in prima squadra anche sotto quota, per anticipare i tempi e proporli a società professionistiche con cui, se hai in mano un contratto, puoi metter su una trattativa. Come, ad esempio, è successo alla Sestese con Brando Mazzeo (2007 passato alla Fiorentina dopo l’esordio in Eccellenza n.d.r.). L’utilizzo dei giovani dovrebbe essere incentivato, per garantire quel ritorno economico che, altrimenti, viene caricato sul costo delle scuole calcio sostenuto dalle famiglie.

Quindi l’obbligo di schierare le quote la trova favorevole?

Sicuramente. I ragazzi giovani sono bravi, ma se non hai qualche tornaconto le società non rischiano e non li fanno giocare. L’Eccellenza è un campionato ogni anno più duro, difficile e costoso, ci sono società e piazze con risorse superiori che si accaparrano i migliori over. Trovo perfino sbagliato una sola quota, ancor più aver scelto il 2007 sacrificando il 2006. Le tre in serie D sono il minimo indispensabile. Nei professionisti, poi, sono favorevole alle seconde squadre come in Spagna. I ragazzi, per crescere, devono giocare con gli adulti, confrontarsi con le difficoltà dello spogliatoio, di piazze e tifoserie importanti. Occorrono società satellite affiliate, con istruttori che condividano lo stesso pensiero di calcio, dove le società professionistiche mandino i ragazzi a fare esperienza.

La “grana” dei procuratori

Prima ha detto che non gradisce parlare con i procuratori, come valuta il loro operato nel calcio dilettantistico?

Tante società non dispongono di collaboratori capaci e competenti, che facciano davvero scouting andando a vedere partite. Ecco che si affidano ai procuratori, il cui proliferare in una regolamentazione poco chiara, per quanto ne conosca di seri e preparati, non giova al nostro mondo. Ma è un problema del calcio moderno anche a livello professionistico internazionale.

“Studio i personaggi sportivi che fanno la storia”

Oltre al calcio e alla montagna ci sono altre passioni che la accendono?

La mia passione per la montagna si lega a quella per i cani, avevo un boxer di nome Pelmo, in onore del monte Pelmo che domina la “mia” val Fiorentina, purtroppo è morto a maggio l’anno scorso. Ho un pastore abruzzese, arrivato da un canile della Puglia, si chiama Luna. Di calcio vedo quattro o cinque partite ogni settimana, dal sabato ai posticipi del lunedì sul campo, passando per la C in streaming. Cerco di seguire lo sport in genere, che dopo la famiglia e la scuola è l’ambito più importante per crescere, esso stesso scuola. Inoltre sono uno studioso della vita dei personaggi sportivi che hanno fatto la storia, tra i tanti sottolineo Jorge Velasco e Arrigo Sacchi, verso i quali nutro grande apprezzamento. Tra i campioni del momento stimo molto Jannik Sinner e Federica Brignone, per il messaggio sportivo che propongono.

La correttezza e il rispetto delle regole

In conclusione, chi è davvero “Re Giorgio” Rosadini? Oltre la corona c’è di più…

Sono un personaggio scomodo, ho sempre perseguito la correttezza e il rispetto delle regole, non chiedo né faccio favori. Vado avanti con le mie idee e le mie possibilità, mi circondo di persone di cui mi fido, parlo quando e con chi credo valga la pena farlo. Al bar prendo il caffè e non ragiono di calcio, non mi piace, non voglio essere adoperato. Come allenatore e come dirigente sono cresciuto attraverso gli altri, giocatori e dirigenti. Ho avuto la fortuna di collaborare con personaggi importanti del mondo dilettanti, come Egisto Naldini, Mario Tralci, Giuseppe Baccani, Massimo Colucci, Enzo Menichetti, Beppe Possenti, Giuseppe Mugnai. Ho incrociato nel cammino persone di valore come Giannelli “Calciocapace”, da ognuno di loro ho imparato qualcosa. Adesso faccio il Direttore Tecnico, con grande passione, cercando di restituire indietro tanto di ciò che ho ricevuto.

Giorgio Rosadini in versione relax: passione per i cani, il cammino e la montagna

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