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Il Cdm dice sì alla riforma del lavoro sportivo. E vincolo abolito dalla prossima stagione

Via libera. Uno degli ultimi atti del Governo presieduto da Mario Draghi è l’approvazione della riforma del lavoro sportivo attraverso un decreto legislativo correttivo. Dopo aver raccolto il parere delle commissioni competenti, l’esecutivo ha detto sì alla riforma a cui aveva lavorato nei mesi scorsi la sottosegretaria Valentina Vezzali circondata su alcuni punti da una parte del mondo dello sport, in particolare dalla Federcalcio. Si parte il primo gennaio 2023, dunque nessun rinvio.

Ma cos’è questa riforma? Incide in particolare su tutto un mondo – sportivi dilettanti, tecnici, istruttori, maestri – che lavorano nello sport senza le necessarie tutele (versamenti previdenziali, copertura assicurativa, tutela della maternità) con una specie di status di serie B rispetto a tutti gli altri. Un vero e proprio “popolo” portato alla ribalta dal momento tragico della pandemia quando si è preso finalmente coscienza di queste figure “fantasma”, tutte sotto l’ombrello della soglia dei 10mila euro esentasse riservata a chi lavora nello sport. La vicenda nasce ancora prima con la riforma Giorgetti-Valente che dopo un lungo percorso arriva ad approvare i decreti attuativi, fra i quali quello sul lavoro sportivo. Il governo Conte 2, su sollecitazione dell’allora ministro dello sport Vincenzo Spadafora, nell’epoca drammatica delle chiusure, allargò i bonus da 600 e 800 euro mensili anche a questi 209mila (tanti furono coloro che ne fecero richiesta) lavoratori. Per qualcuno una cifra spesa male perché la stessa cifra andò indistintamente a chi guadagnava 200 euro al mese e chi ne percepiva 800 (per una differenziazione ci sarebbero voluti dei mesi prima dell’erogazione). Proprio quella situazione spinse il governo ad approvare un decreto proprio per aprire alle tutele di questa categoria. Con caratteristiche giudicate troppo onerose per federazioni, enti e soprattutto società sportive. Così la Vezzali riaprì il tavolo, coinvolse i diversi interlocutori, fino a varare un testo più equilibrato che ha incontrato diversi consensi, tranne però su alcuni punti.

Il testo riscrive la disciplina del lavoro sportivo dilettantistico. La soglia esentasse scende da 10mila a 5000. Sotto questa cifra non si applicano né ritenute previdenziali né fiscali immaginando evidentemente che il lavoratore non viva esclusivamente di quel contributo. Per chi percepisce fra 5mila e 15mila euro l’anno non si applicano ritenute fiscali ma solo quelle previdenziali. Infine per gli importi oltre quota 15000 si applicano tutte e due le ritenute. Per aiutare le società il nuovo decreto prevede un’altra norma: fino al 31 dicembre 2027 la contribuzione previdenziale è dovuta nei limiti del 50 per cento dell’imponibile contributivo e la prestazione pensionistica è ridotta in maniera equivalente.

Ma che cosa chiedeva la Federcalcio? in particolare un’estensione degli aiuti previsti per aiutare la sostenibilità del calcio femminile (l’avviamento al professionismo) a tutte le società e non solo a quelle sotto i cinque milioni di fatturato (quindi perdendo le squadre che sono organizzate nell’ambito di società professionistiche del calcio degli uomini). L’altra rivendicazione era lo slittamento dei nuovi contratti al primo luglio 2023 per evitare di dover cambiare regime in mezzo alla stagione agonistica. Infine il vincolo, la partita più divisiva. La Figc, con altre federazioni, spingeva per una norma transitoria che arrivasse all’abolizione definitiva solo dal primo luglio 2025. Ma su questo non ci sono state modifiche, si partirà il 31 luglio 2023, in pratica con la nuova stagione. Probabile che si torni alla carica con il nuovo governo. Intanto, però, il dado è tratto e tutto il mondo delle società sportive dovrà lavorare per farsi trovare pronto all’appuntamento del primo gennaio.

FONTE: gazzetta.it

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