Almanacco del Calcio Toscano

Io proprio io: Gabriele Vangi

Io proprio io Gabriele Vangi. L’Almanacco del Calcio Toscano torna a proporre gli approfondimenti con i personaggi del nostro mondo, siano calciatori, allenatori, dirigenti o semplici appassionati. L’ispirazione, ricordiamo, viene dalla rivista per ragazzi “Il Monello” che negli anni 70-80 chiamava la rubrica “Io proprio io”. La seconda intervista della nuova stagione ripercorre “la vita e le opere” di Gabriele Vangi, uno degli attaccanti più prolifici in carriera (148 gol), appena passato al Montespertoli in Eccellenza. Lo incontriamo tra lo stadio di Firenze e il Centro Tecnico di Coverciano, luoghi in cui viene facile parlare di calcio, e dove la quiete ombrosa di una panchina e la vicinanza di un gruppo impegnato nella meditazione distende l’animo e il respiro, anche verso riflessioni esistenziali. Ne esce un racconto ricco di spunti, sincero fino al midollo e a tratti spregiudicato. Buona lettura, con la consueta raccomandazione  agli “scrollatori” del cellulare: non abbiate fretta, salvate il link e leggete con calma, poi fateci sapere se ne è valsa la pena. Ah, in fondo c’è anche la TOP11! Tempo di lettura circa 7′

a cura di Edoardo Novelli

Una belva di vent’anni

Gabriele Vangi, che belva si sente?

“Mi sento una belva di vent’anni, grazie anche al calcio che ti mantiene giovane. Dopo una stagione complessa, oggi sul piano calcistico mi sento un ragazzino, ho una voglia matta di ripartire. Ho compiuto a marzo 34 anni, ma davvero, come si dice, l’età è solo un numero, mi sento carico, una belva proprio”.

Una belva laureata, ho letto di un 105 a maggio 2022…

Gabriele con la compagna Rossella

“Sì, ho la laurea magistrale in Scienze Motorie e Management dello Sport. Poi ho maturato i crediti per l’abilitazione all’insegnamento e quest’anno ho insegnato in una scuola privata, sia la mattina che al doposcuola e con un corso specifico. Mi sono iscritto nelle graduatorie e spero diventi questa la mia professione in maniera stabile”.

Professor Vangi, dunque! Un professore a cui piace scrivere, ho trovato diverse tue riflessioni a cuore aperto sui social, soprattutto racconti le emozioni di momenti importanti della tua vita… Da piccolo tenevi un diario segreto?

“No, quello non l’ho mai avuto, ma scrivere mi è sempre piaciuto. A scuola andavo meglio nei temi che nelle altre materie. Poi qualche anno fa, quando giocavo a Montevarchi, mi appassionai alla chitarra e da allora ogni tanto suono e butto giù il testo per qualche canzone. Cercare di descrivere e trasmettere le proprie emozioni, che possa riuscire o meno, è la forma di espressione che preferisco”.

Bomber, professore, cantautore

Caspita, il bomber professore e cantautore… Siamo partiti forte! Adesso ti propongo di giocare con il tuo profilo Instagram. Ti leggo i commenti che hai messo sotto alcune foto e proviamo a svilupparli. Il primo: “Amici pochi ma buoni”.

“Amici pochi ma buoni, la penso così nella vita. Ho legato con tante persone fra scuola, calcio e vita al di fuori, ci siamo fatte insieme delle gran risate. Con molti di loro ho giocato e ci vorrei rigiocare, mi sento fortunato. Se però mi soffermo a pensare, sono pochi quelli su cui poter contare veramente, nel calcio come altrove. Per me un amico è tanta roba, la vera amicizia è riuscire ad aprirsi e confidarsi con qualcuno al di fuori della famiglia, ed è una delle ricchezze più belle della vita”.

Girovago del gol

Quarto anno con la stessa maglia, potrebbe nevicare…” lo scrivevi dopo l’ultima riconferma a Figline. Non sei rimasto mai troppo a lungo nelle squadre dove hai giocato, pensi ci sia un motivo particolare?

“Ti premetto, anche con un po’ d’orgoglio, che ovunque abbia giocato, al di là di come siano andate le stagioni, penso conservino di me un buon ricordo. Prima di tutto come persona, perché quello che ognuno di loro ha conosciuto è proprio come sono io. Ti dico loro e intendo tutto l’ambiente, dai custodi, al magazzino, alla lavanderia fino ai dirigenti e ai compagni. Con molti mi sento ancora spesso”.

Eppure hai cambiato spesso squadra, e anche categoria…

“E’ vero, ho una carriera un po’ da montagne russe. Ho esordito a 17 anni in serie C, poi dopo un infortunio al ginocchio sono ripartito dalla D, poi Eccellenza, la suggestione di Montevarchi mi ha portato in Promozione, ero innamorato di quella piazza e di quei tifosi. Lì sarei rimasto tutta la vita – ogni tanto sui social dell’Aquila qualcuno lo rimpiange n.d.r. – ma il direttore sportivo che arrivò non aveva le stesse intenzioni e passai a Scandicci, disputando tra l’altro un’annata da 19 gol che mi riportò in serie C l’anno dopo (di nuovo a Prato n.d.r.)”

Nutrire gli occhi

Lorenzo Vangi, a quando il primo gol?

Teniamo in stand by il racconto della tua carriera e torniamo su Instagram. Sotto una foto scrivi “Nutrire gli occhi”… Cos’è che nutre i tuoi occhi, oltre a tuo figlio e la tua compagna che sono i primi immagino… ?

“Mi hai rubato le parole. Lorenzo ha un anno e quattro mesi, lui davvero li nutre a livelli che non potrei descrivere, anche se ti ho detto che mi riesce bene qui siamo oltre. Poi mi nutre l’arte, in ogni sua forma, anche un gol può esserlo, come un quadro o una canzone. Ho un lato artistico molto forte, forse non è un caso che la mia compagna Rossella abbia fatto questo percorso di studi. Mi soffermo sul bello, che può essere anche un gesto di umanità o un comportamento, quello non nutre solo gli occhi ma anche il cuore. Specie in questo momento storico dove vedo violenza, arrivismo, tendenza ad approfittarsi del prossimo”.

Un randagio da bosco e da riviera

Altra didascalia interessante, sotto un tuo primo piano è “Bada che randagio”… E’ così che ti senti?

“Come dico spesso con gli amici, mi sento un po’ da bosco e da riviera, con uno spirito libero di esprimermi, ad esempio nel vestire, non do’ importanza a cosa può pensare la gente, randagio in quel senso”

L’importanza della famiglia

Hai scritto spesso o postato foto anche della tua famiglia, raccontaci un po’ di loro…

“Ho un fratello, Leonardo, che è un numero 1. E’ un po’ il mio opposto, simile al babbo come io lo sono alla mamma. Ha quasi cinque anni più di me, faccio di nuovo fatica a trovare parole che descrivano quello che ci lega, eppure da piccoli erano botte da orbi, come si dice a Firenze. Poi la vita ti rende più consapevole, lui c’è sempre, è un ragazzo che sa fare di tutto e ha voglia di imparare. Quando poi ho bisogno in casa non ho il pensiero di chi chiamare! Con la sua compagna Eleonora hanno Ettore, di quasi 10 anni, e Lavinia di 3. Sono uno zio parecchio presente, lo sono stato soprattutto per Ettore da piccolo, grazie alle mie mattinate libere di quando facevo solo il calciatore. Mi fa piacere essere fra i punti di riferimento della sua vita”.

Mamma Paola, babbo Massimo

“La mamma Paola, è ancora con me, con la mia compagna abitiamo al piano sopra di lei. Ha lavorato in Comune, è una donna super che va a duemila, come un caterpillar. Mi ha avuto a 42 anni ma non dimostra gli anni che ha, guida la macchina, si occupa dei nipoti. Come lo era il babbo è la mia più grande tifosa, anche nelle trasferte più lontane. Babbo Massimo non c’è più da due anni e mezzo, è una mancanza che ancora non riesco ad accettare, per quanto sia il normale corso della vita, è come se mi avesse tolto in un secondo tutta l’infanzia facendomi crescere di colpo. La nascita di Lorenzo mi ha salvato, sono perso e innamorato pazzo di lui, quando nel ricordo il respiro si fa corto, pensare alla sua vita mi toglie dall’apnea”.

Ci facciamo un respiro prima di proseguire… In un altro post che ho notato scrivi “No al calcio moderno”. A quali aspetti ti riferisci, cosa c’è che non ti piace?

“Non è solo la Pay Tv o il VAR, di cui riconosco l’utilità ma che da attaccante detesto. Se faccio gol il momento è sacro, voglio poter esultare senza l’angoscia della review, o mi fermi prima o nulla! Mi riferisco, oltre al calcio giocato, all’ambiente e ai suoi interpreti, certe dinamiche mi hanno un po’ stancato. Mi sento libero di poter dire, alla mia età e con la mia esperienza, che riscontro un po’ di ignoranza, poca umanità e troppa fretta nel valutare, non si guarda la persona prima del calciatore, che comunque ai nostri livelli spesso è un ragazzo che lavora, si allena la sera con sacrificio, e può anche sbagliare una stagione. Certo, quanto entro in campo sento ancora l’adrenalina, mi addormento la sera sognando di fare un gol in una certa maniera, il calcio è emozione e vado avanti per questo, anche se spesso mi sento fuori posto”.

L’epilogo a Figline: “Deluso, non arrabbiato”

Immagino che queste tue sensazioni siano maturate, o si siano rafforzate, anche per la vicenda a Figline, che comunque hai saputo vivere senza clamore…

Vangi con il Figline, 43 gol

“Il basso profilo è stata una scelta, ero profondamente deluso ma non arrabbiato. Ho scritto solo che mi aspettavo un saluto meno sintetico dopo quattro anni lì, con la fascia di capitano e la stima di tutti i compagni. Nell’estate 2022, dopo le note vicende (che non andremo qui a ripercorrere n.d.r.) ci allenavamo in dieci poco più, con l’erba alta, soli con Riccardo Malesci, un preparatore atletico fantastico che non ci ha mollato un giorno. Nessuno voleva venire a Figline, molti compagni, posso citarti Banchelli, Conti, Zellini mi dicevano che sarebbero rimasti se rimanevo io, e così fecero. Rivinciamo il campionato e segno 18 gol, conquistiamo una serie D storica, con la quale avrei avuto voglia di misurarmi ancora dopo tanto tempo. Poi è andata com’è andata, non contesto le scelte, ma i tempi e i modi mi hanno ferito. Il direttore sportivo (Andrea Agatensi n.d.r.) era appena arrivato, a giugno trovammo l’accordo su tutto, poi le cose sono cambiate”.

E’ stato scritto che costavi troppo…

“Ascolto anch’io che Gabriele Vangi sarebbe un mercenario che gioca solo per i soldi. Posso dirti senza remore, perché è la verità, che chiesi solo un ritocco simbolico, a condizione che venissero adeguate le cifre di ragazzi che, secondo me, giocavano a cifre inferiori rispetto alle loro qualità. Per loro c’ero sempre stato con entusiasmo anche durante la stagione, quando la sera mi chiamavano per qualche consiglio o confidenza. Nel mio piccolo mi sento comunque un privilegiato e preferivo dare la precedenza a loro, mi sembrava un bel gesto che speravo mi facesse apprezzare come persona. Invece, dopo quel giugno passava il tempo e nessuno mi parlava, sentivo un’aria strana, era nato da poco Lorenzo e la mia priorità era in quella direzione, alle mie domande ricevevo risposte da film Amici Miei… Ho forzato un po’ i tempi, mi ero formato la convinzione che la società progettasse altre scelte, con magari l’alternativa di tenermi ma alle loro condizioni. Chiesi che mi mandassero via in fretta, se quella era l’intenzione, in tempo per trovare altre soluzioni, e cosi fu. Mi dispiace molto non aver potuto salutare tutti nella maniera adeguata”.

L’ultima stagione a Sansovino

Era agosto inoltrato, rose già fatte, ma si mossero in tanti per cercarti…

“Per fortuna sì, ebbi molte proposte, non ultima quella del Tuttocuoio che ha poi vinto il campionato, mi fa un po’ sorridere la cosa. Mi stimolava la piazza di Sansovino, non mi è interessato scendere di due categorie, mi ha conquistato il presidente Alessandro Iacomoni, un uomo di grande spessore morale e umano oltre che un imprenditore vincente, oculato e responsabile”.

A Sansovino ti è toccato ripartire da capo con la preparazione, quanto ha pesato sulle difficoltà fisiche della tua ultima stagione?

Vangi con il Sansovino, 6 gol nel 2023-24

“Dover fare un’altra preparazione ad agosto qualche guaio fisico in più l’ha provocato, anche perché ho lavorato con due metodi profondamente diversi fra loro, alla mia età non è più uno scherzo. Eppure livello muscolare sono stato bene, a parte all’inizio una vecchia cicatrice che mi tiravo dietro, mi ha condizionato di più l’infortunio alla caviglia. Però ammetto che umanamente quello che era successo mi aveva scaricato, mi sono fatto delle domande su quanto valesse la pena continuare, poi non ero tranquillo fuori dal calcio per altri motivi. Metti anche una scarsa affinità con il gioco che l’allenatore Enrico Testini aveva in testa, è una persona squisita ma forse non ero adatto per lui. Mi dispiace non aver dato quanto si attendevano, volevo lasciare un segno ma il calcio è fatto anche di fallimenti da accettare. A Sansovino comunque ho conosciuto persone stupende”.

La musica che gira intorno

Stemperiamo quest’amarezza con un po’ di musica, sul tuo profilo citi tanto rock ma anche Gino Paoli, Lucio Dalla, Gianluca Grignani, Tananai… Hai una cultura e dei gusti musicali molto ampi, arrivi anche al trap?

“Gusti vari ma non così tanto! In auto verso gli allenamenti quest’anno ero spesso con ragazzi dal 2003 al 2005, mi confronto con loro che apprezzano questo genere ma continuo a preferire i cantautori italiani classici, De Andrè, De Gregori, Paoli, Dalla. Quella, insieme al rock and roll, Bob Dylan, Elvis, i Queen, è la mia musica. Il rock è una passione che mi ha trasmesso babbo, con lui siamo stati anche a un concerto di Bob Dylan! Ah, non scrivere Tananai che so giusto due canzoni…”

Da ragazzo andavi in discoteca?

“Non mi ha mai fatto impazzire, forse perché non fanno ascoltare i cantautori…”

Rossella, un amore che è un’opera d’arte

Mi accennavi prima di Rossella, la tua compagna. Come vi siete incontrati?

Gabriele e Rossella, un punto di riferimento reciproco dal 2011

“Ci conosciamo dai tempi della scuola grazie a un amico in comune, lei ha due anni meno di me, frequentava l’Istituto d’Arte e io andavo al Cavour in via Maggio. Non ci siamo mai persi di vista, poi è nato tutto da un’uscita insieme nel 2011. Rossella è una grafica pubblicitaria, per diversi anni ha studiato danza, ha una gran voglia di fare, purtroppo adesso viviamo una preoccupazione per la sua salute, vedo che sta lottando tanto dopo un anno difficile, fatto a volte di giornate lunghe e pesanti. Ammiro e stimo la sua forza, quella di una ragazza stupenda, insieme abbiamo ancora tanti giorni e tante passioni da condividere, con il nostro bambino e – spero – anche con altri che potranno arrivare”.

Sei un tipo riflessivo o agisci d’istinto? Che rapporto hai con la rabbia?

“Sono contro la violenza nel modo più assoluto, porta solo altra violenza. La pace non si fa con la guerra, la sopraffazione genera solo una reazione contraria, più in generale solo se provi a mediare, dando la giusta importanza a ogni attimo, anche quando senti montare la rabbia, puoi crescere davvero”.

Il gioco dello Zodiaco

Giochiamo con lo Zodiaco, sei nato agli albori della primavera, un Ariete di prima decade. Hai sicuramente la forza vitale di una persona entusiasta e coraggiosa, non ti mancano energia e ardore. Hai fiducia nelle tue capacità e sei generoso. Torna tutto?

“Non credo nell’oroscopo ma come caratteristiche del segno fin qui mi torna!”.

Sei impaziente, amante passionale, stai anche bene da solo? Con l’odio, il rancore come la metti?

“Davvero, sono impaziente, romantico, sto bene sia in compagnia che da solo, dipende dai momenti. Non porto rancore, posso risentirmi ma poi tendo a lasciar correre, senza mai mettere la croce sopra a qualcuno. Qualunque sia il pensiero che conservo dentro di me, c’è un’altra chance per tutti”.

I ricordi da ragazzo

All’inizio del tuo percorso calcistico hai lasciato Prato per la Primavera dell’Albinoleffe. Cosa ricordi di quel periodo?

“Di Bergamo mi ricordo il cielo grigio per tre mesi, dal quale poi son scappato, sbagliando, ti ho detto prima che sono impaziente, impulsivo. Ero in rosa con la prima squadra che faceva la Serie B, mi allenavo spesso con loro, ma non mi trovavo bene anche come qualità della vita. Volli per forza venir via e andai a Castelnuovo dei Sabbioni in Eccellenza, dove comunque ho un gran bel ricordo del presidente Piero Nosi”.

Mentre il ragazzino degli allievi del Prato cosa ti fa tornare in mente?

“Ho fatto gli allievi a Prato, sia da sotto età con gli ’89 che l’anno dopo con i miei coetanei, devo dire grazie a Fabrizio Del Rosso, che oggi seguirà Marco Baroni, come suo vice allenatore, alla Lazio. Mi ha aiutato a formarmi, specie sul piano caratteriale, tirandomi fuori più cattiveria agonistica, sono contento di sentirlo ancora oggi, è un grande allenatore e una grande persona”.

C’è stato un momento in cui hai pensato al professionismo, di poter fare calcio ai massimi livelli?

“Sono cresciuto col mito di Batistuta, volevo diventare come lui ma era il sogno di un bambino che tutt’ora abita a due passi dallo stadio. Crescendo ho avuto consapevolezza dei miei limiti, ma ho dato tutto me stesso in ogni categoria”.

Pregi e difetti, hobby e passioni

Siamo in volata prima di tornare a ripercorrere la tua carriera. Cosa apprezzi e cosa ti dà più fastidio nella vita, e quale pregio e difetto ti riconosci e ammetti di avere?

“Apprezzo la sincerità e di conseguenza mi dà fastidio l’opportunismo. Sono generoso e credo di saper dare la giusta importanza alle cose, ai sentimenti e ai rapporti. Sono anche impulsivo, a volte mi scaldo per nulla, specie quando sono convinto di avere ragione, ma so anche chiedere scusa in fretta”.

Chiudiamo le confidenze con un libro, un film e un viaggio che ti sono nel cuore…

“Di viaggi ne ricordo due con i miei amici, il primo a Londra da ragazzino e l’altro un week end lungo a Valencia un po’ più grandicello. Il libro non può che essere <Io Ibra>, Ibrahimovic è il mio più grande idolo da sempre fin dal suo primo mondiale del 2002. Il suo racconto delle difficoltà attraversate che ne hanno formato la personalità mi ha dato tanta carica. Un libro è bello se ti lascia qualcosa, e quello mi ha lasciato tanto. Come film ti dico <Sette anime> (“Seven Pounds” titolo originale n.d.r.) diretto da Gabriele Muccino con Will Smith, storia un po’ estremizzata ma film veramente bello”.

La carriera: una dozzina di maglie, 148 gol

Torniamo alla tua carriera. Ho raccolto cronologicamente gli spunti che il motore di ricerca di Google evidenzia digitando il tuo nome. Nel 2006-2007 si segnala l’esordio in C2 a Prato.

“Sì, sono stato a Prato in diversi periodi. Nel primo le giovanili e l’esordio, nel secondo (2010-11 n.d.r.) feci una prima parte di stagione positiva, poi dopo mi proposero un prestito di cui non ero convinto, rimasi ma uscii un po’ dai radar. La stagione finì ai playoff persi con la Carrarese, ma il Prato andò in C1 lo stesso coi ripescaggi. Poi sono tornato nel 2017-18”.

Nel frattempo c’era stata la mezza stagione all’Albinoleffe in Primavera, e due passaggi, il primo al Borgo a Buggiano, l’altro alla Castelnuovese, dove ti ritroviamo nel 2012 dopo la stagione a metà fra Scandicci e Fiesole Caldine…

A Castelnuovo dei Sabbioni 28 gol in due annate

“Quelli di Castelnuovo sono stati anni importanti, arrivai ragazzino, giocatore acerbo, fisicamente diverso da come sarei diventato. Mi accontentavo della giocata, magari un tunnel riuscito, non vivevo per il gol come mi ha insegnato a fare Atos Rigucci. Con lui feci bene due stagioni (e 22 gol n.d.r.)

Il 7 dicembre del 2014 fai 3 gol all’esordio a Montevarchi in Promozione.

Sono 28 in gol di Vangi nel Montevarchi, squadra, società e ambiente rimasti nel cuore

“Ne stavamo parlando prima, non avevo mai giocato in categoria, ero a Figline e andai lì a dicembre attratto dalla piazza, che vedendo certe immagini faceva solo venir voglia di giocarci, e dall’allenatore Atos Rigucci, che avevo già avuto due anni alla Castelnuovese. Scoccò subito la scintilla e l’amore verso quei colori che dura ancora oggi”.

Nel 2015-16 fai 17 gol, secondi dietro la Rignanese ma sconfitti ai playoff 2-0 dal S.Donato Tavarnelle…

“Rientravo da un infortunio, è una partita che ricordo benissimo. Ci sarebbe bastato il pareggio, dovevamo fare di più, invece prendemmo gol subito con un cross di De Simone che diventò tiro e si infilò sotto l’incrocio, fu la fotografia di quella partita, dopo 7′ eravamo sotto di due…”

2016-2017 a Scandicci con Marco Brachi, anno dei record

In diversi periodi, Vangi ha segnato 23 gol per lo Scandicci

Brachi è un altro allenatore importante che ho incontrato, dopo Atos. Eppure all’inizio non mi voleva. Mi prese il direttore sportivo Lorenzo Vitale, uno degli amici a cui alludevo prima, forse il solo degli addetti ai lavori nel suo ruolo che vedo abitualmente, con le rispettive famiglie. Con lui ci fu subito feeling, mi sarei ancorato al cancello di Montevarchi pur di rimanere ma la scelta di Scandicci si è rivelata poi una delle mie migliori. Il mio entusiasmo incontrò un po’ di scetticismo, Vitale mi dette la maglia 9, ma col suo 4-3-1-2 Brachi mi chiedeva cose che non volevo fare e ci fu un po’ di attrito. Poi Brachi mi venne incontro, cominciai a sentirmi più a mio agio in campo, tanto che i numeri parlano da soli”.

L’anno dopo, lo accennavi prima, torni a Prato con Pasquale Catalano.

Vangi in azione con la maglia del Prato (2 gol)

“Un allenatore super, fra i tre più importanti che ho avuto insieme ad Atos e Marco Brachi. Aveva fatto il secondo a Roberto De Zerbi, portò metodi di allenamento che non avevo mai visto, fortissimo a livello tecnico, penso abbia raccolto meno di quanto meriti. Era una categoria importante, tornare fra i professionisti per me fu già una vittoria, anche se le cose non andavano benissimo e a dicembre scelsi di tornare in serie D a Scandicci”.

Rimani a Scandicci anche nel 2018-19, poi finisci fuori rosa e ti troviamo a Poggibonsi.

Buona la “mezza” stagione al Poggibonsi,con 9 reti segnate

“Sì, ci fu una piccola frattura con l’allenatore Claudio Davitti, secondo me mi presi delle colpe ingiuste, per altro abbiamo già ricucito e chiarito fra di noi senza alcun problema. Mi dispiacque perché a Scandicci ero tornato col cuore, pur avendo richieste in C da diverse parti d’Italia, volevo anche stare vicino a casa, e ci salvammo dopo aver fatto 8 punti all’andata. Sono storie comuni di calcio, talvolta quando fai fatica coi risultati ne fanno le spese i giocatori più rappresentativi. A Poggibonsi mi sono trovato bene, perdemmo i playoff nazionali 2-0 a Porto Sant’Elpidio, al ritorno segnarono loro, sullo 0-1 entrai e feci tre gol in 35′ di adrenalina pura, pensa che ero convinto di aver segnato a tempo scaduto il rigore del 3-0, stavo esultando quando mi freddò vedere loro far festa, mi resi conto dopo…”.

Poi gli annali testimoniano una mezza stagione all’Aglianese e l’approdo a Figline

Un altro spostamento nel mercato invernale porta Vangi all’Aglianese, dove segnerà 3 gol

“Stagione che non stava andando male, giocavo a intermittenza, l’allenatore Agostino Iacobelli cominciava a darmi fiducia ma fu cambiato con Matteo Cioffi (a sua volta sostituito a dicembre da Francesco Colombini n.d.r.), con cui avevo dialogo ma che preferiva altre scelte. Mi chiamò Brachi da Figline, andai di corsa e feci 6 gol in 10 partite prima che fermassero tutto per il Covid. Quella e la successiva sono state stagioni amputate, il resto è storia recente”.

Gabriele Vangi con la sua nuova maglia del Montespertoli

Siamo tornati ad oggi. Nell’arte iconografica il giallo è la tonalità che imita la lucentezza dell’oro, del sole o del grano maturo; il verde è simbolo di speranza, rinascita, trasformazione. Nel presente artistico Gabriele Vangi (anche il calcio, dicevamo, è arte) il giallo e il verde sono tutte queste cose insieme: carriera lucente, il grano maturo dell’esperienza, la trasformazione interiore di uomo, compagno e padre (e professore!), la speranza di rinascita. Ah, già, il giallo è il verde sono anche i colori del Montespertoli. Vedi che l’arte c’entra con il calcio?

LA TOP 11 di Gabriele Vangi

Ecco la squadra TOP selezionata da Gabriele fra tutti i compagni avuti in carriera. Con la raccomandazione di precisare che è un gioco e che nessuno si senta offeso…

Fallou Sarr (Prato), Alessandro Vinci (Scandicci), Lino Marzorati (Prato), Andrea Galeotti (Castelnuovese), Cosimo Stefanelli (Castelnuovese – Montevarchi), Luigi Pagliuca (Prato), Andrea Bernini (Castelnuovese), Manuele Malotti (Aglianese), Tommaso Ceccarelli (Prato), Alessandro Diamanti (Prato), Gabriele Vangi!

Gabriele Vangi, un figurino!

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