Almanacco del Calcio Toscano

Io proprio io: Filippo Vetrini


Io Proprio Io Filippo Vetrini.
L’Almanacco del Calcio Toscano torna a proporre un viaggio interiore nella vita e nella carriera di un protagonista del nostro mondo. Il terzo racconto del 2025, il numero 21 della serie (clicca qui per la raccolta completa) ci porta a conoscere a fondo Filippo Vetrini, direttore generale del Grosseto.
Personaggio che vive la professione con visceralità, con una passione profonda: prende “fuoco” con facilità, ma si raffredda con altrettanta velocità. Che piaccia o no, persona “vera” e senza peli sulla lingua.
In questa chiacchierata si è lasciato andare forse più di ogni altra volta. Vi raccomandiamo ancora una volta di prendervi un po’ di tempo e vi auguriamo una buona – e speriamo piacevole – lettura.

di Andrea L’Abbate

Tutto sotto controllo

Nato il 13 settembre del 1976, per chi crede allo Zodiaco, è del segno della Vergine: senso pratico, attenzione, predilezione per l’organizzazione.

Queste sono le caratteristiche del segno: ci si ritrova?

“Direi quasi totalmente. Ho una certa meticolosità nel cercare di organizzare tutto, dall’abbigliamento al lavoro. E sì, mi piace avere tutto sotto controllo”.

In principio fu… un portiere!

Ma la storia di Filippo Vetrini dove inizia?

“Io vengo da una famiglia appassionata di calcio, mio padre e mio fratello Luca (ex allenatore di calcio dilettanti, di 14 anni più grande, n.d.r.) hanno seguito sempre il pallone. Devo dire che quando ero piccolo, non ne volevo sapere. E questo generava una certa… disperazione in casa!
Poi però ho iniziato ad appassionarmi. Ho giocato un po’ da portiere prima nella Florentia (società della zona di Campo di Marte a Firenze, tra Le Cure e Trespiano, legata a Mario Mazzoni, ex giocatore e allenatore Fiorentina, che fondò la sua scuola calcio, n.d.r.), perché mio zio era preside lì agli Scolopi, poi passai al Legnaia perché mio fratello Luca allenava lì. Ma non avevo grandi doti”.

Un arbitro mancato

E’ per questo che ha iniziato a fare l’arbitro?

“Sì, lo sono stato per 10 anni, dal 1991 al 2001. Avevo purtroppo dei limiti di natura atletica. L’AIA all’epoca cercava l’arbitro-atleta, con un certo stile di corsa, io proprio non c’ero e non potevo sperare di fare carriera. Avrei potuto fare l’assistente, ma non mi piaceva per niente. Così decisi di smettere.

Legnaia: promozione al primo colpo

Ma subito dopo, ancora giovanissimo, iniziò la carriera da direttore sportivo, come arrivò al Legnaia?

“In realtà, volevo allenare. Ma Giulio Bacci, presidente storico dell’Audace Legnaia (che di calcio evidentemente capiva come pochi), mi disse che invece secondo lui avrei dovuto fare il d.s.
Devo dire che ebbe una buona intuizione, se non altro perché al primo anno vincemmo subito il campionato di Seconda Categoria nel 2005. E l’anno dopo, nel 2006, sfiorammo addirittura la Promozione. La perdemmo per un punto dall’Incisa, lo ricordo bene. In panchina c’era mio fratello Luca”.

Miracolo a Montelupo, Castelnuovo svolta della vita

Poi la seconda esperienza da d.s. a Montelupo, quindi ecco Castelnuovo dei Sabbioni, una tappa chiave per tanti motivi, com’è iniziata?

“A Montelupo facemmo un vero miracolo. Vado lì per caso: mi ci porta l’amico Maurizio Niccolini che mi segnala a Massimiliano Borsini. Inizialmente mi voleva come d.s. del giovanile, ruolo che non ho mai voluto svolgere per evitare possibili conflittualità con i genitori. Divento d.s. della prima squadra e dopo aver girato ultimissimi alla fine girone d’andata (soli 7 punti dopo 13 partite, n.d.r.), avvicendando 2/3 allenatori, porto mio fratello in panchina, cambiamo marcia e chiudiamo addirittura noni con 22 punti nelle successive 17 gare (non c’erano ancora i 3 punti).
Come è iniziata a Castelnuovo dei Sabbioni? Beh, era giugno inoltrato e non avevo squadra: chiamo quindi Franco Chellini, ex dirigente del Grassina, mi dice che forse a Castelnuovo cercano un d.s. anche se avevano già parlato con Ugo Bartolini.

Colpo di fulmine

“Riuscii a farmi organizzare tramite la figlia Serena un appuntamento con il presidente Piero Nosi. Vado all’appuntamento: prima vedo Serena ed è un colpo di fulmine! Poi parlo con il padre al quale piaccio subito.
Devo dire che sono stati tre anni belli: una comunità di meno di 1.000 abitanti (stiamo parlando di una frazione di Cavriglia) con oltre 100 persone sempre allo stadio, davvero tutti innamorati di calcio.

Tre anni di successi, colti e sfiorati

La famiglia Nosi gestiva tutto, tipo presidente del Borgorosso, tanto per dare l’idea. Otteniamo dei buoni risultati: un anno perdiamo i playoff con la Pianese (con due pareggi n.d.r.), fu quando mister Pier Francesco Battistini infilzò Alessandro Melzi per sbaglio in allenamento con un paletto il giorno prima del match.
L’anno dopo con mio fratello in panchina vincemmo la Coppa Italia e perdemmo immeritatamente nella fase nazionale subendo tre espulsioni con il Castel Rigone di Brunello Cucinelli.
Nella terza stagione, con il dottor Valerio Beltrami in panca si perse la finale play-off con la Pistoiese”

Torniamo sul colpo di fulmine… a ciel Serena!

“Beh, lei aveva due figlie gemelle, che ora sono grandi, suo marito lavorava in azienda.
Non esagero se dico che all’epoca in quel paese la vicenda fu una cosa rumorosa, per non dire uno scandalo. Ma, ripeto, per me è stato un vero colpo di fulmine e per come è andata dopo, visto che stiamo assieme da 18 anni nonostante la distanza con la quale abbiamo dovuto convivere, si può dire senza timori di essere smentiti che era vero amore e non un colpo di testa…
Da un anno Serena si è spostata con me a Grosseto ma lavora a Lastra a Signa: fa avanti e indietro tutti i giorni. Non posso che ammirarla per ciò che fa e per ciò che ha rappresentato per la mia vita.
Precedentemente ero stato ben sette anni con una ragazza che anche lei era arbitra come me: quella storia finì nel 2001, l’anno anche in cui ho perso mio padre. Non fu decisamente un bell’anno quello”.

Mi manda mio cugino!

Eccoci al capitolo finora più lungo da raccontare: Gavorrano. Da dove partire?

“A Gavorrano sono stato 12 anni e mezzo dal giugno del 2010 fino al 2022. Lì sono diventato quello che sono sia a livello sportivo che umano. Ho dato tanto al Gavorrano, e onestamente ho ricevuto ancor di più, direi tantissimo!
Com’è cominciato? Il destino vuole che di mezzo ci sia sempre mio cugino, Gianni Lamioni. All’epoca era presidente della Camera di Commercio e conosceva bene la famiglia Mansi: fu lui a segnalare all’ingegnere la mia figura perché a Gavorrano erano alla ricerca di un direttore sportivo giovane.
Il primo incontro avvenne nell’estate del 2009, dopo aver perso la finale play-off contro la Nocerina. Ma poi la società decise di andare avanti con Egidio Bicchierai. L’anno successivo, intorno a Natale, un nuovo colloquio in cui mi dicono che a prescindere dal risultato finale sarei diventato io il d.s. da giugno. E così fu: conclusero la collaborazione con Bicchierai addirittura prima dell’ultima partita di un campionato già vinto, quindi con la serie C in tasca.
Subentrai già partire dalla Poule Scudetto. Era il 21 maggio 2010”.


Le dimissioni da bancario

Apprezziamo la memoria di ferro di Vetrini e gli chiediamo se, lavorativamente parlando, fu una scelta non facile visto che abitava nel Valdarno...

“Devo dire che, come sostiene Maurizio Sarri, quando ti fanno fare quello che ti piace e ti pagano pure per farlo, non puoi chiedere di più alla vita.
Come l’allenatore della Lazio, anch’io ho lasciato un impiego in banca, alla Banca Popolare di Novara, dove mi occupavo della stipula dei mutui. Chiaramente, dovetti prendere la decisione di dare le dimissioni e lasciare il sicuro per l’incerto, diciamo così. Ma volendo fare quello di mestiere, non fu poi così difficile prendere la decisione.
Quindi a Gavorrano mi buttai a capofitto con un impegno 24 ore su 24, e non esagero dicendo 24 ore su 24. Ero già direttore sportivo, ma feci il corso da d.s. professionista perché avendo vinto il campionato il Gavorrano ne aveva diritto”.

Quel saluto… repentino

La fine dell’avventura a Gavorrano ha portato con sé rancori? Era inevitabile finisse “non bene”?

“Quando c’è troppo amore da tutte e due le parti, non può che finire così. Lo si vede anche dal fatto che dopo di me si sono succeduti tre direttori sportivi in due anni e mezzo, quando io ci sono stato 12 e mezzo… Vorrà dire qualcosa”.

Poteva avvisare prima la famiglia Mansi?

“Sì, forse lo avrei dovuto fare. Ma quello che voglio che sia chiaro è che io non potevo fare altrimenti. Era una chiamata alla quale io non potevo dire di no.
Mio cugino Gianni Lamioni non è un cugino “normale”: questo è evidente. Inoltre nella mia famiglia il senso appunto di famiglia è molto radicato: le nostre mamme sono state più che sorelle, anche se vivevano a 150 km di distanza.
Quando lui ha iniziato la trattativa per prendere il Grosseto, ed è stata una cosa velocissima, mi disse <Mi devi dare la parole d’onore, che se prendo il Grosseto, te vieni con me>. Non ci poteva essere un’altra risposta insomma da parte mia.
Forse potevo gestire diversamente la cosa a Gavorrano? Lo avrei potuto dire prima? Sì, probabilmente sì. Forse mi avrebbero mandato via in quel caso, anzi sicuramente.
Ma non c’erano certezze, prima della firma, che Lamioni prendesse il Grosseto. La situazione societaria era disastrata e quindi non era sicura la cosa fino a quando non c’è stata la firma”.

Una pizza? Perchè no…

Andrebbe a mangiare una pizza con la famiglia Mansi?

“Certo che sì, con Lorenzo sicuramente, con l’ingegnere non so perché non credo che me l’abbia ancora perdonata. Da parte mia resta una stima e un amore che non verrà mai scalfito, così come da parte loro su questo nessun dubbio”.

L’ospite indesiderato

Altro capitolo importante della sua vita, la lotta contro il tumore. Per due volte l’ha colpita il linfoma Hodgkin (tumore del sistema linfatico). Ne è uscito, ma cosa le resta dentro di quella esperienza?

“Era il 2012, il terzo anno a Gavorrano. Iniziai ad avvertire febbre altissima oltre i 40, persi peso, ero stanchissimo.
Il 13 settembre, giorno del mio compleanno, fui ricoverato allo Spallanzani di Roma. La diagnosi non fu precisa, la decisione di andare a Firenze mi salvò la vita perché a Roma ci avevano capito poco.
Invece a Careggi si intraprese una strada precisa. Qui ho incontrato i miei angeli custodi. Per l’estensione della malattia, sembrava mi restassero pochissimi giorni di vita.
I dottori decisero di applicare la prima dose di chemioterapia, una scelta che appariva del tutto inutile, ma andava fatta per seguire le disposizioni sanitarie.
Poi non ricordo nulla se non un buio totale, ho dormito per tre giorni consecutivi. Mi hanno raccontato che mentre “dormivo” ho ricevuto anche l’estrema unzione.
Ai miei familiari non restava che pregare.
Mi hanno riportato anche che nel sonno ho perfino immaginato una conferenza stampa insieme al presidente del Catanzaro, facendo entrambe le voci.

Il risveglio alla vita

Comunque sia, al terzo giorno mio fratello entrò nella stanza trovandomi seduto sul letto, intento a staccarmi tutti i collegamenti con le macchine salvavita.
I medici l’hanno interpretato come il miglioramento che precede la morte. Ma gli esami evidenziavano che tutte le funzioni vitali erano in ripresa, i valori andavano a posto. Hodgkin era scomparso, completamente. Il primario e tutto lo staff hanno pronunciato la parola miracolo evidenziando come, in 30 anni di esperienza, non avessero mai osservato una guarigione così repentina e all’apparenza inspiegabile.
Non posso dire che ricordo quel periodo con piacere, ma certo ricordo distintamente tutto l’affetto che mi ha circondato da parte di familiari e amici.
Nel 2017 però ecco la ricaduta con lo stesso linfoma anche a livello osseo. Questa volta fui colpito da dolori lancinanti anche perché le biopsie non riuscivano a prelevare un campione sufficiente per avere la diagnosi, ma fortunatamente, vista la mia storia recente, si decise per le chemioterapie che ebbero pieno successo.
Diciamo che la seconda volta è stata peggiore per la diagnosi, ma una passeggiata di salute rispetto alla prima”.

Questo episodio ci consente di toccare l’argomento religione.

“Ho sempre vissuto in una famiglia a forte vocazione religiosa. Non a caso mio zio era preside degli Scolopi, come ho detto prima, e mio cugino padre di Montenero.
Ma è indubbio che a vent’anni, come tutti i ragazzi, la chiesa la frequentassi poco. Dopo aver visto la morte in faccia, il mio rapporto è cambiato: almeno una volta a settimana vado a messa e sono credente”.

Gli amici di sempre

Altro argomento importante, dopo l’amore e la religione, l’amicizia. In passato ha dichiarato di avere solo due amici nel calcio, Lorenzo Vitale e Renato Vagaggini. Con il secondo però l’amicizia è finita bruscamente. Ne vuole parlare?

“Mah… credo sia difficile ricucire con Renato. Come ho detto, visto quello che mi è successo, sono diventato credente e praticante e da allora è cambiata la visione della mia vita. Quindi il perdono dovrebbe essere una delle prime regole, ma lo screzio è stato grosso. Io sono una persona irrequieta che litigo con tutti ma dopo cinque minuti mi passa, ma in questo caso faccio fatica. Se la questione mi fosse successa con un altro di cui non mi importava nulla, mi sarebbe passata, ma per me è talmente grossa che non riesco a perdonarlo, almeno finora.
Per quanto riguarda Vitale, è fuori classifica. Inizio dicendo che siamo praticamente coetanei, vicini di casa o quasi. Ci siamo un po’ persi quando facevo l’arbitro, ma è una presenza costante nella mia vita, in pratica un fratello, quasi più di Luca, che andò via di casa quando avevo 14 anni. Magari non ci vediamo spessissimo, ma ci sentiamo sempre. Ricordo che quando ero in ospedale per il tumore, Lorenzo tutte le mattine veniva a portarmi i giornali e l’Ipad per farmi vedere le partite su Telepiù. Non lo dimenticherò mai”.

Lamioni, tale padre tale figlio

Ci fa un ritratto di Gianni Lamioni?

“Sono di parte, lo premetto. Dal punto di vista imprenditoriale è un genio, veniamo da una famiglia normale, la ditta l’ha inventata e creata lui.
È un visionario e un coraggioso. Una delle persone più buone che ho mai conosciuto, anche se non sembra forse, ma ve lo posso assicurare. Ha un gran cuore ed è generosissimo. Se sarò sempre al suo fianco al Grosseto? Sta a lui rispondere: per quanto mi riguarda, ovviamente, sì”.

E del figlio di Gianni, Francesco, neo presidente del Grosseto che ci dice?

“Da circa un mese, Francesco Lamioni, classe 2001, è diventato il presidente più giovane d’Italia dalla serie A alla serie D: mio cugino Gianni me l’ha affiancato perché Francesco, folle appassionato di calcio, potesse pensare di fare di questo ruolo una professione. A oggi direi che l’aiuto l’ha dato più lui a me, che io a lui. Mi ha insegnato a riflettere… e a pazientare. Lo devo solo ringraziare!”.

Quel play-out col Terranuova…

Affrontiamo adesso il tema calcio un po’ più da vicino. Tornando al play-out di Firenze con il Terranuova, con quel netto rigore non concesso agli avversari nei supplementari, cosa si sente di dire?

“Che se fosse stato assegnato quel rigore avremmo perso, e saremmo retrocessi. Non so cosa sarebbe successo alla società in caso di Eccellenza. Davvero non so cosa dire a questo proposito.
Mi fa piacere però che il Terranuova sia tornato lì dove merita di stare, in serie D.
Anche se, tornando indietro a quella stagione, non posso dimenticare quello che accadde contro il Livorno e tutto quello che ne conseguì. Quella direzione arbitrale (arbitro Acquafredda di Molfetta, ora in serie C, n.d.r.) fu a senso unico, un sacco di errori e tutti contro il Grosseto”.

Il rapporto con i suoi allenatori

Parlando di allenatori, si può restringere il campo a Indiani, Favarin e Bonuccelli?

“Sono i tre cui sono più affezionato. Indiani e Favarin si assomigliano, hanno caratteri fortissimi, sono rigorosi. Con Bonuccelli invece il rapporto è diverso: se le cose vanno bene, con Vitaliano è tutta una festa.
Con Paolo Indiani c’è davvero un grande rapporto: riesco a prendere il lato spiritoso della persona, che magari non traspare all’esterno. Ma io mi diverto tantissimo con lui, ha delle uscite spassose.
Poi non posso dimenticare un episodio, quando lui era a Pontedera. Dopo un Gavorrano-Pontedera, nel quale si vinse il 23 dicembre per 3-1, io ero ricoverato da una settimana, lui la sera mi telefonò per farmi gli auguri e i complimenti per la vittoria. C’è insomma una stima reciproca da ancora prima ancora che lo portassi a Gavorrano.
Se sono rilassato con lui quest’anno? Credo che se il Grosseto non vincerà il campionato, significherà che non era destino accadesse. Però mi sento di dire che abbiamo fatto tutto dalla A alla Z per far sì che si vinca. Siamo la favorita? Sì, lo dicono tutti, se ce l’avesse un altro questa squadra direi che è la più forte”.

I buoni rapporti di vicinato

Quali sono i rapporti con le altre società del Girone E di serie D?

“Ormai sono diversi anni che frequento questo girone, quindi si sono consolidati dei rapporti che, a parte la frequentazione calcistica, sono diventate delle vere e proprie amicizie anche extra campo. Cercherò di non dimenticare nessuno e se lo facessi me ne scuso anticipatamente.

Ghiviborgo: Marco Remaschi ed Emilio Volpi sono due persone perbene, due punti di riferimento per me molto importanti.
Montevarchi: il patron Ferdinando Neri, lo sponsor Romei, il presidente Livi e il segretario Gaeta sono personaggi splendidi che fanno bene al nostro calcio.
Orvietana: i direttori Capretti e Panzetta sono ottimi dirigenti che stanno facendo un ottimo lavoro.
Poggibonsi: è una delle realtà storiche del nostro calcio, se ne sono andati gli amici Guidi e Galbiati, ma è rimasto Beppe Vellini, un vero guru del nostro calcio, dal quale ricevo sempre volentieri ottimi consigli.
Prato: Gianluca Berti e il mio ex calciatore Claudio Sciannamè stanno facendo un ottimo lavoro e sicuramente daranno filo da torcere a tutti, noi compresi!
San Donato Tavarnelle: altra società di amici veri, dal presidente Bacci, a patron Fusi, agli amici Mauro Rossi e Luciano Santucci, senza dimenticare il direttore Ghinassi e, naturalmente, Vitaliano Bonuccelli e Luca Corbucci, con cui il rapporto non credo che abbia bisogno di commenti.
Siena: l’amico Guerri sta facendo un ottimo lavoro e il blasone della piazza farà il resto.
Trestina: l’amico fraterno Sante Podrini e la competenza della famiglia Bambini rappresentano una delle realtà più sostenibili del nostro campionato, sono veramente un esempio che tutti dovrebbero seguire.
Tau Altopascio: altra realtà fatta da amici e persone vere, che fanno bene al nostro calcio, da patron Vellutini, al direttore Maneschi senza dimenticare il vice presidente Del Carlo. Ogni volta che ci incontriamo, salvo l’ovvia competizione, per me è l’occasione di incontrare dei veri amici.
Terranuova Traiana: altra realtà che fa bene al nostro mondo, attenzione alle spese e grande competenza, dalla famiglia Morbidelli al presidente Vannelli, continuando con i direttori Finocchi e Resti. Due anni fa forse gli abbiamo “scippato” qualcosa, ci siamo abbondantemente rifatti con i sei punti dello scorso anno”.

Voglia di serie C

Dove vede il Grosseto fra 5 anni?

“Volando bassi, in serie C per forza. Il futuro dipende anche dall’eventuale ascesa dell’azienda del patron e dalla voglia che avrà lui di investire nella squadra. Se continua con questi numeri, si potrebbe pensare anche alla B. Ma va ricordato che se il Grosseto in 112 anni di storia ha giocato solo 6 anni di B sotto la presidenza Camilli, vuol dire che forse quella categoria non appartiene al Grosseto e alla città”.

Quei leoni da tastiera…

Che rapporto ha con i social?

“Li subisco abbastanza. Non sopporto chi ti dice una cosa in faccia e poi ti scrive le cose peggiori sui social, odio questo.
Se uno mi incontra e mi dice ho fatto una squadra schifosa, magari gli spiego il mio punto di vista, poi può anche darsi che abbia ragione.
Ma quello che ti dà la pacca sulle spalle e poi su Facebook scrive di tutto, lo picchierei!”

Segue altri sport?

“Mi piaceva l’ippica. Ma ora non esiste più in Italia. Menomale da un certo punto di vista, perché ti può trascinare nel mondo delle scommesse, però mi appassionava parecchio”.

Ha altre passioni?

“Bibi, il mio cane Yorkshire! Ce l’ho da poco ed è un rapporto clamoroso. L’avevo preso per mia mamma ma alla fine l’ho tenuto io. È il figlio che non ho mai avuto? Sì, si può dire, anche se considero le gemelle di Serena quasi come mie, perché erano piccole quando entrai nella loro vita”.

Voglia di vacanza… ma non troppo!

Segue la politica?

“Un po’ di cronaca, la politica molto meno anche se ho le mie idee”.

Quale è il viaggio che ancora non ha mai fatto?

“Direi la Polinesia e gli Stati Uniti d’America. Ma per noi direttori sportivi fare vacanze è dura, dura… Quest’anno mi sono ritagliato una settimana con mio cugino nelle Eolie. Bella cosa, ma è stata dura fare a meno del Grosseto, ho perso due amichevoli, per me è stata una sofferenza. Lo riconosco: è un mio limite il non poter avere tutto sotto controllo, anche se al Grosseto tutto è organizzato. Devo avere il totale conoscenza di tutto quello che accade, impazzisco se non accade”.

Guarda la televisione e ascolta musica?

“Mi piacciono i film, e le serie tv. Il mio film preferito è “Il Silenzio degli Innocenti”. Leggo pochissimo, ormai con il telefono si fa tutto. La musica? Non sono un grande appassionato, ma ascolto un po’ di musica leggera italiana”.

E allora, “metti un po’ di musica leggera perché ho voglia… di serie C!”.

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