Io proprio io: Federico Marini
Io proprio io Federico Marini. L’Almanacco del Calcio Toscano torna a proporre gli approfondimenti con i personaggi del nostro mondo, siano calciatori, allenatori, dirigenti o semplici appassionati. L’ispirazione, ricordiamo, viene dalla rivista per ragazzi “Il Monello” che negli anni 70-80 chiamava la rubrica “Io proprio io”. La prima intervista della nuova stagione concretizza un desiderio che avevamo da tempo, e ci porta a conoscere da vicino Federico Marini, portiere della Sinalunghese. Lo incontriamo a metà strada fra Firenze e la sua terra natìa, Montalcino, lungo il Parco Fluviale del Sentierelsa, luogo bucolico che ammanta di pace la nostra conversazione. Ne esce un ritratto ad ampio respiro che vi affidiamo con la consueta raccomandazione agli “scrollatori” del cellulare: non abbiate fretta, salvate il link e leggete con calma, crediamo ne valga la pena. Tempo di lettura circa 6′
a cura di Edoardo Novelli
PRIMA PARTE
Federico Marini ha compiuto 30 anni il 28 marzo scorso. Nell’ultima stagione ha raggiunto e superato le 300 partite con la Sinalunghese, eppure…
“Pensa che quando sono arrivato a Sinalunga stavo pensando di smettere”
Addirittura, per quale ragione?
“Dopo le stagioni col Siena, in Primavera e aggregato alla Prima Squadra, avevo giocato un anno in prestito alla Pianese. L’estate successiva capitò l’opportunità di un esperienza in serie D a Terracina, trovavo stimolante la prospettiva di un ambiente caldo, a 19 anni con ancora un anno da <quota> mi sentivo carico e arrivai motivatissimo. La sistemazione in un appartamento affollato di ragazzi mi lasciò interdetto, poi alla prima in Coppa di serie C perdemmo 6-0 a Savona – 10 agosto 2014 n.d.r. – e fummo subito contestati, al bar del paese il giorno dopo non ci davano la colazione, d’accordo ambiente caldo ma anche meno! Mi risultò difficile legare con lo spogliatoio, era un calcio professionistico a cui non ero pronto, a fine mese si dileguò il presidente, tanto che poi la società fallì <ripartì l’anno dopo dalla terza categoria n.d.r.>. Tornai a casa dopo poco più di un mese molto demoralizzato. Passarono due mesi e mi chiamò Franco Meacci, il preparatore dei portieri della Pianese, dicendomi che là erano pronti ad accogliermi di nuovo, così a novembre ripresi ad allenarmi e feci la seconda stagione con loro, alternandomi con l’altro portiere Elia Benedettini”.
“Vecchio” a vent’anni…
Però d’improvviso qualcosa si ruppe…
“Poi finisce la stagione ed esco dalle quote. Parlo con il d.g. di allora, Renato Vagaggini, che molto francamente mi ringrazia per gli anni fantastici, per il contributo a raggiungere gli obiettivi, però, mi dice, ora diventi vecchio, sei abbastanza basso per il ruolo, l’allenatore che viene vuole la quota in porta… Lì per lì mi venne da ridere, vecchio a 20 anni!”.
Intorno a Federico Marini portiere è un po’ come se crollasse il mondo.
“Iniziai a ricercare le squadre che si erano interessate a me negli anni precedenti, l’Arezzo, altre di D, senza risultato. Insomma ero vecchio e basso, non mi rimaneva che smettere, anche se avevo proposte dall’Eccellenza ma non sentivo la motivazione per continuare”.
Però deve essere successo qualcosa di importante se oggi siamo qui, c’è una persona in particolare che ti ha convinto a riprendere?
“Ce ne sono diverse. Per mia fortuna Massimo Cataldi, il preparatore dei portieri del Siena <oggi al Torino n.d.r.> aveva frequentato un corso insieme a Simone Marmorini, arrivato in quell’anno ad allenare la Sinalunghese, e gli suggerì di chiamarmi. In un primo momento gli risposi che proprio non mi sentivo di ricominciare, poi andai a Sinalunga e conobbi di persona lui, il presidente Daniele Polvani e il d.s. Bruno Mugnai, che seppero toccare i tasti giusti. L’allenatore mi parlò di un ambiente familiare, di un progetto e di un gioco divertente, dove il portiere avrebbe toccato più palloni del regista in mezzo al campo. Mi accordai per una sorta di prova di un mese, conoscevo Nicholas Redi, compagno al Siena con cui ero cresciuto, il gruppo mi dava fiducia, lo spogliatoio era proprio quello che cercavo. Dopo due giorni di ritiro parlavo già con tutti, a tavola cambiavamo sempre di posto, mi divertivo di nuovo e in breve mi tornò la voglia di far bene, per me stesso e per i compagni, che la vivevano allo stesso modo. Magari eravamo meno forti di altre squadre, ma ci mettevamo qualcosa in più”.
“Non mi piaceva correre!”
Ma in porta ci sei finito per caso o per scelta?
“Ho cominciato a giocarci da bambino per un insieme di cose. Mi divertiva tuffarmi, non avevo paura di farmi male anche quando giocavamo in strada, e non mi piaceva per niente correre; in porta ci stavo proprio volentieri, la sistemazione giusta per me”.
Come si arriva a 300 partite e più in campionato con la stessa maglia?
“Mi diverto ancora. E’ un ruolo faticoso, fisicamente tosto per gli allenamenti, ma con il passare degli anni quando inizi a sentire il peso degli errori si fa più impegnativo a livello mentale. I miei li ricordo tutti, imparo e cerco di non rifare gli stessi, ma possono sempre capitare”.
Dall’incoscienza alle responsabilità, la crescita di un portiere
Per un portiere contano in egual misura la forma fisica e quella mentale, qual è la tua esperienza in proposito?
“Ci sono come due fasi nella crescita, me ne rendo conto meglio allenando i portieri del settore giovanile. Quest’anno ho avuto una decina di ragazzi, dai 2007 ai 2010, stare con loro mi ha spesso alleggerito tensioni. Finché hai l’incoscienza del ragazzino per cui conta più divertirsi che il risultato, la vivi bene, non ti pesa nemmeno tanto sbagliare, cresci e fai esperienza senza sentire troppa pressione. A loro cerco di trasmettere i movimenti, la coordinazione e le varie tecniche, magari diverse per ognuno, che affineranno col tempo. Ho avuto la fortuna di incontrare quattro preparatori completamente differenti fra loro nello stile che mi volevano trasmettere, è stato difficile adattarsi ma poi ogni insegnamento è una freccia nella mia faretra”.
Gli errori e le prodezze
Poi si cresce e tutto si fa più complicato…
“Esatto. Dagli Allievi, con la Juniores, cominci a sentire la responsabilità, sei grande e copri tutta la porta, devi saper gestire l’emotività. Senti di non avere scuse, dipende tutto dalla tua prestazione, dall’allenamento e dalla concentrazione che metti. Ma è proprio con gli errori che impari a crescere, fanno parte del percorso e lo valorizzano, in fondo la perfezione annoia. L’ho capito negli anni a Siena, quando un episodio negativo mi faceva star male per giorni. Grazie anche ai preparatori avuti, che mi hanno sempre incoraggiato, specie nelle difficoltà, oggi sapere di poter sbagliare da un momento all’altro, anche se ti sei allenato alla grande tutta la settimana, mi tiene sveglio, con quella paura che impari a nascondere e gestire ma ci deve essere sempre. Nel tempo ti ricordi più gli errori delle prodezze, ma ogni volta è un occasione per crescere. Quando capita lo sbaglio non vedo l’ora di rigiocare e magari di rivivere la stessa situazione per gestirla meglio”.
Ti arrabbi coi compagni quando prendi gol?
“Capita di arrabbiarsi lì per lì, ma la partita è un lasso di tempo in cui prima di tutto bisogna rimanere uniti, zitti e compatti, poi se ne riparla all’allenamento il martedì. Certo, dipende anche dal rapporto che hai con il compagno, magari sai che a essere sgridato si attiva, allora un rimprovero può essere di stimolo. Ma darsi la colpa ha poco senso, perché forse un altro compagno doveva fare di più prima oppure io stesso potevo rimediare. Comunque a Sinalunga ho creato rapporti d’amicizia che durano da anni, anche se a volte in campo ci si massacrava le critiche erano e sono sempre costruttive”.
“Una volta ero rasato…”
Senti, una curiosità, da quanto non tagli i capelli? Sui social hai anche foto quasi rasato…
“Da ragazzo li ho sempre avuti corti. Quando ero a Siena, secondo il pensiero di Cataldi, il portiere doveva anche incutere timore, lui si rasava e noi lo stesso; poi per un periodo a Sinalunga ho iniziato a farli crescere, lasciando solo il ciuffo perché più lunghi mi davano noia. Con il Covid superai quel limiti, cominciai a legarli senza dover mettere la fascetta, da allora li sistemo ma non li ho più tagliati, mi sento bene così”.
Vedo che hai fatto diversi tatuaggi, hanno un significato particolare?
“Sono tutti del periodo fra i 18 e i 20 anni, è molto tempo che non ne faccio di nuovi. Ho il simbolo dell’Om con il cerchio Zen che simboleggia il ciclo della vita, una mano di Fatima come simbolo di positività, più alcuni per ragioni estetiche come la piuma e l’àncora, o quello con l’X42 che si ispira al libro di fantascienza umoristica non sense <Vita galattica per autostoppisti> che mi ha divertito tantissimo” (per conoscere meglio quel libro clicca qui).
La famiglia, una presenza importante
Che rapporto hai con la tua famiglia?
“In famiglia, oltre ai miei genitori, siamo io e mio fratello Dario. Ha 5 anni più di me, giocava a calcio come esterno d’attacco ma ha avuto sfortuna con tre infortuni diversi al crociato, e ha smesso; siamo molto uniti, specie negli ultimi anni, abbiamo anche ripreso l’abitudine di fare vacanze con i nostri genitori, l’ultima a Sperlonga. I miei mi seguono in tutte le partite, da quando mio fratello ha smesso vengono pure insieme, è il loro rito della domenica ovunque giochi. Crescendo sento molto di più la voglia di condividere interessi con loro, confrontare i nostri punti di vista, avverti il tempo che passa e non vuoi sprecarlo. Abitiamo a Montalcino, ognuno dei due per conto proprio ma sempre vicini a casa dei miei. Verso i 21 anni ero andato a vivere con un paio di amici, con loro ho vissuto anche il periodo Covid ed è stata una fortuna poterci sostenere, ci siamo pure divertiti. Poi ho convissuto con un collega di lavoro e quindi da solo”.
Presto la tesi a Scienza della Formazione!
Che lavoro o che attività svolgi oltre al calcio?
“Ho iniziato presto in una cantina a Montalcino, con la vendemmia, la svinatura. Ho continuato in questo settore, da noi ci trovi sempre da lavorare. Poi sono stato quattro anni nel ristorante di Simone Muggiano, un amico ex allenatore di calcio, che mi agevolava in tutto e per tutto con gli orari degli allenamenti. Da un po’ di tempo ho lasciato il lavoro e mi sono rimesso a studiare. Sentivo la necessità di provare un’esperienza di vita diversa. Non ho ancora chiaro cosa fare dopo il calcio, ho sempre avuto interesse per la psicologia e verso i ragazzi. Così mi sono iscritto a Scienza della Formazione e dell’Educazione, nell’ambito psico-educativo e sociale. Mi affascina lo sviluppo della persona, approfondire le modalità per star meglio con se stessi e con gli altri. Per adesso è più un mio percorso di crescita che un orizzonte lavorativo, mi mancano quattro esami. Ho già indirizzato la tesi verso lo sviluppo dell’identità e delle relazioni all’interno di un gruppo, che per me ha sempre significato la squadra, lo spogliatoio, con quelle dinamiche positive e negative che hanno influenzato molto la mia crescita adolescenziale. L’età in cui impari a gestire i compromessi cercando di non snaturare chi sei, e formi la tua identità di uomo”.
“Che poi alla fine basta poco…”
Sotto a una foto con amici hai scritto la frase “Che poi alla fine basta poco…” Cos’è il tuo poco che comunque basta?
“Amicizia, musica, quel presente in cui ti rendi conto che sei felice. In quel video eravamo con degli amici a farci una spaghettata coi ricci, sento ancora le ghiandole che si attivavano di gusto. Me l’hanno rimandato e mi ha fatto subito sorridere. Della cucina mi piacciono gli odori, la convivialità. Mi piace che una distrazione come cucinare, ma potrei dirti ad esempio anche giocare a biliardo o ascoltare una canzone di Lou Reed, sciolga l’emotività e faccia condividere confidenze spontanee anche a noi uomini. Così, quasi senza rendersene conto, si creano legami forti. Oggi va tutto veloce, ma è importante godersi il momento che viviamo. Come lo stesso star qui a ripercorrere con te momenti che magari non ho mai raccontato, o che nemmeno ho rianalizzato a fondo, senza pensare per forza allo step successivo come ci ha abituato a fare il mondo sempre più tecnologico”.
Il Jazz, i cantautori, Gaber…
Hai nominato Lou Reed, chi altro c’è nella tua playlist ideale?
“Sono cresciuto con babbo amante del jazz puro e mamma dei cantautori italiani, poi nell’adolescenza ho incontrato il rock, Pink Floyd, Led Zeppelin. In questo periodo ascolto tanto i Morphine, un gruppo jazz – rock con un sax importante, ma anche i Modena City Ramblers oppure i cantautori un po’ più datati, poi mi viene in mente Giorgio Gaber… Mi piace comunque dare un’opportunità a tutto, qualsiasi forma di arte può sempre sorprenderti”.
Liceale… per pigrizia!
Invece cosa ricordi del periodo della scuola?
“Ho fatto il liceo linguistico per una scelta molto comune a Montalcino. I ragazzi che non avevano un’idea precisa di quale indirizzo scegliere si dividevano fra quelli pronti a svegliarsi alle 6 di mattina e prendere il pullman per Siena e quelli che preferivano dormire fino alle 8 e scegliere l’unica scuola del paese. Oggi c’è anche l’Istituto Agrario ma all’epoca il linguistico era la sola scelta, ecco spiegata la mia strada: le lingue non mi dispiacciono e dormo volentieri di più! Andavo abbastanza bene senza correre rischi, in classe c’erano tante ragazze, poi nell’ultimo anno e mezzo ho frequentato il Manzoni a Siena, perché essendo un tesserato della Robur aggregato in Prima Squadra, con gli allenamenti frequenti e le trasferte nel fine settimana, a Montalcino stavo accumulando troppe assenze. Pensavo di proseguire con Scienze Motorie ma poi mi sono focalizzato sul calcio, è stata dura riprendere con gli studi ma, come ti dicevo, sono contento di averlo fatto”.
I luoghi del cuore
Montalcino e Sinalunga sono i tuoi luoghi del cuore, ce ne sono altri che magari hai visitato o dove vorresti andare?
“Montalcino è la mia comfort zone, conosco tutti, non mi sono allontanato tanto e spero di farlo, anche proseguendo il percorso universitario. Mi piacerebbe muovermi in luoghi dove rendermi utile in ambito sociale, per conoscere culture diverse. Non sono tipo da spiaggia e discoteca tipo Ibiza. Anche in vacanza con gli amici ricerco sempre spunti di interesse. Nell’ultimo periodo, poi, sento necessità di sfidarmi in esperienze da solo, per scoprire come le affronterò e come saprò cavarmela senza i miei abituali punti d’appoggio”.
Perfect days, Norwegian wood
Che rapporto hai con lo schermo, cinema e TV, e con la lettura?
“Mi piacciono il cinema, che vorrei frequentare di più, e le serie TV di qualità, in giro si trova di tutto. Leggo molto, diciamo che divido il mio tempo libero in modo vario. Ho letto parecchi libri di Hakuri Murakami, il primo che mi sovviene è Norwegian wood, un film che ho visto di recente è Perfect days di Wim Wenders (protagonista l’attore Koji Yakuso n.d.r.), fa bene all’anima, mi ha trasmesso belle sensazioni di quiete, il tramezzino sotto l’albero è il suo <in fondo basta poco> come le tre birre bevute una dietro l’altra sono la sua trasgressione all’ordine. Mentre fra le serie TV la preferita è Breaking Bad”.
C‘è qualcosa che ti fa paura?
“Non ho fobie particolari, forse l’ansia della mia generazione è quella di non viversi in pieno la vita e perdere tempo. Sono molto attivo, mi sveglio presto perché voglio fare più cose nella giornata, riempio anche troppo a volte il tempo libero, oppure mi metto in gioco in dinamiche che potrei evitare. Vivo un po’ l’incertezza del futuro, ma forse una situazione troppo stabile mi limiterebbe. Non vorrei arrivare a dirmi che avrei potuto fare tanto di più, cerco di stare meglio possibile senza timore di cambiare strada”.
Di che segno sei?
Per lo Zodiaco, in quanto prima decade di Ariete saresti una sorta di superuomo, amante passionale e intenso, talvolta aggressivo e impulsivo, dalla vita intensa e frenetica, esigente ma disponibile a farsi in quattro, vivendo tutto senza risparmiarti mai. Ti ci rivedi?
“Dunque, superuomo davvero no, per la passionalità dovrei mettermi alla prova, magari in un altro momento della vita, intensa e abbastanza frenetica quello sì. Con l’ossessione di portare in fondo al meglio tutto quello che comincio. Da piccolo ero più istintivo, dall’adolescenza in poi sono più quieto e riflessivo”
All’inizio ho ricordato il tuo compleanno, come hai festeggiato i 30 anni?
“Con un viaggio a Palermo, quattro giorni insieme ai miei amici approfittando anche della sosta di campionato. Non amo le feste troppo rumorose, dove si perde il dialogo, anche se un po’ di leggerezza ogni tanto ci vuole. I 18 invece non li avevo festeggiati, felice di avere la scusa del ritiro con la prima squadra del Siena, ero in Sardegna in trasferta e lo passai lì”.
Il saluto per Andrea
Ti faccio concludere con un saluto, a una persona importante che non vedi da tempo. Chi ti viene in mente?
“Dunque, penso subito ad Andrea Pastore, un compagno di squadra della Primavera a Siena che veniva da Bari vecchia, poi ha giocato per poco in C. Siamo andati ad Amsterdam in vacanza insieme, rivedendoci qualche tempo dopo, adesso è negli Stati Uniti. Lo sento ogni tanto, diciamo da parecchi anni di ritrovarsi un’estate, non è ancora accaduto, magari quest’intervista può servire!”.
Che belva si sente?
Federico, improvviso un finale che non avevo pensato prima… Quasi dottor Marini, che belva si sente?
“In realtà non c’ho mai pensato… Forse un gatto, che proprio belva non è, mi rivedo nei riflessi, nei movimenti rapidi, e nel ponderare quando e con chi concedersi. Un gatto fa difficilmente cose su richiesta, fa solo ciò che lo fa star bene, sceglie quando stare in compagnia, dà e riceve affetto, ma non si fa forzare, sì mi sento un gatto!”.
FINE PRIMA PARTE
Nella seconda puntata, che pubblicheremo prestissimo, Federico Marini giocherà con noi una partita immaginaria radunando una TOP22 di compagni avuti alla Sinalunghese, e ci racconterà in prima persona la cavalcata epica dei playoff 2018 che portarono la Sinalunghese in serie D, oltre alle prospettive per il suo immediato futuro. Dove giocherà nella stagione 2024-25? Seguite l’Almanacco Calcio Toscano per saperlo.
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