Io proprio io: Filippo Zacchei
Io proprio io: Filippo Zacchei. L’Almanacco del Calcio Toscano propone un altro degli approfondimenti con i personaggi del nostro mondo, siano calciatori, allenatori, dirigenti o semplici appassionati. L’ispirazione, per i più giovani e per chi si fosse perso i precedenti racconti della rubrica, viene dalla rivista per ragazzi “Il Monello” che negli anni 70-80 chiamava la rubrica “Io proprio io“. Il quinto racconto di quest’anno ci porta a conoscere da vicino Filippo Zacchei, calciatore con quasi 500 presenze in carriera, l’amaranto del Foiano come seconda pelle, una carriera di allenatore in stand by in attesa di stimoli adeguati alle ambizioni che nutre. Un altro ritratto da gustare con attenzione, che vi affidiamo con la consueta raccomandazione agli “scrollatori” del cellulare: non abbiate fretta, salvate il link e leggete con calma. E soprattutto… fate gli auguri a Filippo, questa intervista esce proprio nel giorno del suo compleanno!
di Edoardo Novelli
Filippo Zacchei, che belva si sente?
“Sono una belva da campo sportivo, non so quale ma il mio posto è quello. Il campo, lo stadio, lo spogliatoio, sono il mio habitat naturale”.
Ho letto un tuo messaggio sui social, dove scrivevi “Dopo un po’ che stai bene, o la vita diventa piatta e ti va bene così, oppure si cercano nuovi stimoli”. E’ quello che stava succedendo a Foiano?
“Sì. Ero dentro la mia zona di comfort. Ho il forte desiderio di crescere e migliorarmi, devo seguire le mie ambizioni. Ho voglia di salire di categoria, e per farlo mi devo mettere in gioco. Non so quello che succederà, nel frattempo ho avuto qualche contatto che purtroppo non si è concretizzato, ma sento comunque di aver preso la decisione corretta. In ogni stagione ho puntato tutto sugli stimoli, sulle ambizioni, sulla voglia di mettere in campo il massimo. Se io per primo non sono convinto di quello che posso trasmettere ai ragazzi, non sono più nel posto giusto, specie se quel posto è casa mia”.
Il calcio è vita
In questo periodo come impieghi il tempo che dedicavi agli allenamenti e trascorrevi in panchina?
“La domenica scelgo e sceglierò la partita che mi attira di più fra Eccellenza e serie D, accompagnato quando possibile da Andrea Alderotti, il mio secondo (ex difensore centrale – tra le altre – di Gavorrano, Grassina, Scandicci e Colligiana – n.d.r.), e da mio babbo Fabio, anche lui grandissimo appassionato di calcio ed ex giocatore e allenatore. Per la prima di campionato ho visto Figline-Sangiovannese, l’ultima domenica Terranuovese-Follonica Gavorrano. Durante la settimana osservo gli allenamenti di altre squadre, è importante studiare ciò che fanno gli altri, immaginare ciò che andresti a correggere. Inoltre posso approfondire la conoscenza e le potenzialità di tanti giocatori, cosa difficile stando in panchina, quando sei concentrato sulla tua squadra. Ho fatto visita al mio ex vice Emiliano Corti, che guida una formazione giovanile del Tegoleto, e poi seguo mio figlio Gianluca che gioca negli Under 13 dell’Arezzo”.
Sempre su Instagram, dopo una vittoria che mi ricordo ti rese particolamente soddisfatto, hai postato un commento che concludi affermando che il calcio non è solo un gioco. Cos’altrò è?
“E’ vita, per me il calcio è la vita. Perchè quello che trovi in uno spogliatoio, in campo, che sia un allenamento o una partita, rappresenta l’essenza della vita stessa. E’ ciò che amo e ho sempre desiderato di fare”.
L’orgoglio di una sconfitta
Nel video di “addio” al calcio giocato nel 2020 raccontavi che il calcio ti ha insegnato anche l’orgoglio di una sconfitta, in che senso?
“Ero già ritornato una prima volta a Foiano nel 2012, a 32 anni, era il momento giusto e sentivo di avere ancora tanto da dare alla società dove avevo tirato i primi calci al pallone. Dopo due anni, venni mandato in esilio alla Castiglionese, scherzando oggi lo racconto con queste parole, dove sono rimasto per due stagioni. Poi mi contattò la nuova dirigenza appena costituita della Nuova Foiano, decisi di tornare nuovamente quando ancora non c’era un giocatore in rosa, per l’amore verso la maglia e il paese, anche se sapevo che quella stagione sarebbe stata difficilissima e con poche prospettive (era il 2016-17, la Nuova Foiano chiuse ultima a 21 punti retrocedendo in Promozione n.d.r.). Per amore e per passione si fa tutto, con orgoglio, comunque vada”.
Sansovino… in agrodolce
Qualcosa di simile, mi pare, lo avevi già vissuto a Sansovino nel 2012…
“Infatti, avevamo vinto l’Eccellenza (2010-11 ai playoff con la Sinalunghese, dopo il secondo posto in campionato dietro il Lanciotto n.d.r.), poi l’anno dopo siamo retrocessi finendo ultimi. Ho giocato tutte le partite in entrambe le stagioni, oltretutto ricevendo più o meno un terzo dei rimborsi spettanti, ma onorando la maglia fino all’ultimo insieme ai miei compagni. Tra l’altro sono sceso in campo nella penultima giornata, già da retrocessi, con mio figlio Gianluca appena nato in ospedale, in pericolo di vita. In quel momento sentivo di fare così. Però in seguito, da quando ho esultato dopo un gol alla Sansovino con la maglia del Foiano, perché durante la settimana si lavora per quello e secondo me è giusto esprimere comunque la propria gioia, piovono su di me offese e cattiverie che mi danno fastidio e mi feriscono profondamente, considerando quello che ho dato a quella maglia. Credo di non meritarlo, ero lì anche nel 2006 quando sfiorammo la C1 perdendo la finale playoff col Sassuolo, ho contribuito a scrivere la storia di quella società”.
Una squalifica ingiusta
Immagino che questo sia uno degli episodi a cui ti riferisci nel video cui accennavo prima, quando accenni a tanti momenti che potevano allontanarti dal calcio, dalla tua passione…
“Gli episodi sono tanti, a cominciare da quando, nel settore giovanile del Perugia, non giocavo pur meritando perché qualcun altro veniva raccomandato. A 14 anni ho subito il distacco della cartilagine al perone, rischiando di non giocare più. Nel 2018 ho sofferto per una squalifica ingiusta. Penso che il calcio, inteso come gioco sia la miglior cosa, ma spesso e volentieri il contorno di persone non è all’altezza. Il mondo del calcio non rende giustizia alla bellezza dello sport, i rapporti autentici e non strumentali sono rari”.
Quel mondo che ti induce a patteggiare una pena anche quando sai di essere innocente…
“La giustizia sportiva prevede che, di fronte a un’accusa, sia tu a dover dimostrare la tua innocenza, non che tu sia innocente fino a prova contraria. In quel momento (giugno 2018, per presunte combine nella stagione 2016-17 n.d.r.) il male minore per me fu patteggiare 6 mesi di squalifica. Fa male, è come svegliarsi con una bastonata tra capo e collo, ma bisogna rialzarsi e andare avanti”.
La forza delle idee
Vai avanti, mi aiuto ancora con gli aforismi dei tuoi post social, e cerchi sempre nuovi sentieri dove lasciare una traccia, piuttosto che percorrerne di già noti. Come in questo momento, no?
“Se tutti fanno in un modo non è detto che debba fare così anch’io. Voglio seguire ciò che mi piace e ritengo importante, provando a trasmetterlo alle persone con le quali vivo, lavoro o gioco. Tutti dovrebbero poter fare ciò che desiderano, senza perdere tempo prezioso che nessuno ci rende indietro. Per incidere su un gruppo di una trentina di persone, tra squadra, staff e società, devi essere autentico e credibile e portare le tue idee, non quelle di qualcun altro, al più puoi prendere spunto”.
El Profesor
Sempre in quel video indossi una maglietta con la scritta <El Profesor> , è un tuo appellativo?
“Durante la pandemia in casa ci siamo guardati la serie completa La Casa di Carta, la figura del Profesor mi affascinava, sempre due mosse avanti agli altri. Quando i ragazzi dello Studio Magmas, grazie al pensiero e all’idea del direttore Paolo Marchi e della società, mi offrirono di girare il video chiedendomi di indossare una camicia bianca, ho subito pensato a quella maglietta del Profesor come spunto d’ispirazione”.
“Se devo spiegare voglio farmi capire…”
Giochiamo un po’ con lo Zodiaco. Sei nato il 20 settembre, quindi prima decade della Vergine. Un uomo perfezionista, preciso e di intelletto acuto, direi che fin qui torna tutto, no?
“Ti ringrazio per l’intelletto, il resto sì, mi torna…”
Ti ritrovi anche nella definizione di “pensiero analitico”?
“Sicuramente voglio sempre andare in fondo alle cose a cui tengo, e se devo spiegarle l’altro deve aver capito. E’ vero che di norma sono responsabile di ciò che dico e non di ciò che tu capisci, ma a volte, specie come allenatore, lo diventi anche di quello, perché sono perfezionista e preciso, lo abbiamo appena detto, no?”.
Non ho dubbi che ti rispecchi anche nelle caratteristiche di organizzazione e senso del dovere, mentre nella sfera più intima non ti mancano empatia, sensibilità e romanticismo, anche se sei prudente… Le stelle fanno ancora centro?
“Dovrebbero essere gli altri a dirlo, però penso di sì. Per chi non mi conosce posso sembrare presuntuoso, in realtà penso di concedermi a chi merita, alle persone di cui ho stima, e non a tutti”.
Sul romanticismo non ci sono dubbi, lo dimostrano anche le dediche che pubblichi per la tua compagna, spesso ispirate dal testo di canzoni…
“Spesso e volentieri una canzone racchiude un momento, un periodo. Riascoltarla nel tempo, ricordarla in un post, lo riporta in superficie e lo fa rivivere”.
L’album di una vita
Davvero hai ancora le scarpette della tua prima partita da bambino?
“Certo, e non solo. I miei genitori hanno una vetrinetta con esposti tutti i trofei personali che ho vinto, appunto le scarpette della mia prima partita a Marciano, i librettini che danno allo stadio che presentano le partite (oggi si chiamano match-program… n.d.r.), e altre cose. Inoltre mio babbo ha sempre ritagliato dai giornali articoli, formazioni, foto, da quando ho iniziato fin quando non ho smesso, è un diario in più volumi della mia vita calcistica”.
Fantastico, ripercorriamola allora questa carriera di giocatore, da Foiano… a Foiano!
Dagli esordi alla C col Prato
“Foiano è dove ho iniziato, il primo allenatore è stato proprio mio babbo. Poi sono andato ad Arezzo a 12 anni. Uscivo da scuola, prendevo il pullman da solo fino alla stazione e da lì un bus fino allo stadio, e lo stesso al contrario dopo l’allenamento, tornando a casa la sera tardi. L’Arezzo fallì, mi chiamò il Perugia, dove sono rimasto dal ‘93-’94 per 7 anni, facendo sempre avanti e indietro con casa. Abbiamo perso la semifinale per lo scudetto nella categoria Allievi, con la Primavera ci siamo sempre qualificati ai play-off. Poi sono passato in comproprietà al Prato in C/2, stavo andando molto bene ma a causa di ripetuti gravi infortuni ho giocato in pratica solo il girone d’andata.
Con l’Empoli in serie B, ancora Prato, il sogno Sansovino
Nonostante ciò mi volle l’Empoli di Silvio Baldini, che vinse il campionato di Serie B. Non giocai tantissimo (5 presenze in tutto n.d.r.) e non venni confermato, passando alla Sambenedettese. Fu un’annata molto buona con una tifoseria meravigliosa, migliaia di persone ogni domenica a cantare, dopo la quale pensavo che tornare a Prato potesse rilanciarmi, puntando anche a riconquistare una maglia all’Empoli, che aveva metà del mio cartellino. Purtroppo non fu così, tanto che a gennaio venni trasferito alla Lodigiani per 6 mesi.
Quindi (siamo alla stagione 2004-05 n.d.r.) eccomi di nuovo a Prato, in un ambiente non ottimale, fra contestazione e cambi di allenatori. Nel gennaio 2005 comincia la mia prima esperienza alla Sansovino, in C/2. Ci salviamo e poi viviamo la stagione successiva strepitosa, come ti dicevo, fino al playoff perso col Sassuolo in circostanze che non approfondisco ma tutt’oggi mi provocano amarezza.
L’esperienza nei dilettanti fino al 2020
Dopo un’altra annata con la salvezza ai play-out sono passato per due stagioni al Gubbio, quindi è cominciata la mia esperienza nei Dilettanti alla Castelnuovese. Da lì dopo due anni sono tornato alla Sansovino e quindi al Foiano nel 2012. Infine ti ho già raccontato dei due anni alla Castiglionese e del mio definitivo ritorno al Foiano dal 2016 fin quando ho smesso di giocare”.
La maglia azzurra
Hai anche una presenza in Nazionale, se non sbaglio conservi una maglia azzurra numero 21, a quando risale?
“Quando ero a Empoli esisteva anche una Under 21 dedicata alla Serie B, venni convocato tre o quattro volte dal selezionatore Giampiero Marini. Ho giocato un’amichevole ufficiale contro la Romania a Viterbo (era il 26 gennaio 2002 e finì 0-0 n.d.r.) con la maglia numero 21, lo stesso che avevo scelto a Empoli ispirandomi a Zidane, un giocatore stratosferico secondo me”.
Le partite del cuore
Nel tuo video di saluto racconti alcune fra le partite più significative del tuo percorso nel Foiano, ce ne vuoi parlare?
“Foiano – Incisa (2-0 il 23 settembre 2012 n.d.r.) è stata la mia prima partita allo Stadio dei Pini da quando me ne ero andato all’Arezzo nel 1992. Nel video ci sono un mio colpo di tacco e il gol con pallonetto che suggellava il mio ritorno a casa. Alla fine di quella stagione abbiamo battuto 2-1 il Pontassieve nello spareggio di Colle Val d’Elsa (squadre a pari merito con 64 punti nel girone B di Promozione n.d.r.) con i gol decisivi di Mostacci e Monaci, guadagnando l’Eccellenza.
Le ultime due stagioni complete che ho giocato, invece, si sono concluse sempre contro il Pratovecchio. La prima vincemmo 3-2 ai playoff, a Montevarchi, rimontando da 0-2 dopo mezz’ora, ci valse la nuova promozione in Eccellenza. Poi è arrivata la squalifica, sono rientrato con la Bucinese nella prima partita di gennaio 2019, che pareggiammo in casa 3-3. La stagione finì ai playout ancora con il Pratovecchio, vincemmo 2-1 anche grazie al mio gol su punizione, che dedicai al mio amico fraterno Andrea Goracci, in campo nonostante avesse perso sua madre pochi giorni prima”.
I compagni di viaggio
Oltre ad Andrea Goracci ci sono altri tuoi compagni di viaggio a cui sei rimasto particolarmente legato?
“Sono tanti, e non vorrei far torto a nessuno nominandone solo alcuni. Ti direi Luca Mostacci, come un fratello al pari di Andrea, mi viene in mente Alessandro Monaci, mio compagno di spogliatoio a Castelnuovo, Sansovino e Foiano, ricordo con piacere Federico Mencagli, che ho conosciuto ragazzo e poi ha fatto strada (è arrivato in Serie C col Rimini n.d.r.), lo stesso per l’amico Francesco Vichi, altra bandiera del Foiano. Ma, ti ripeto, potrei andare avanti all’infinito, sono tante le persone a cui ho voluto e voglio bene”
Veronica, un amore color avorio
Da qualche anno la tua vita ha svoltato grazie a una presenza fondamentale al tuo fianco, come hai conosciuto Veronica?
“Nel 2017, venivo da un periodo di cambiamenti ed ero di nuovo tranquillo. Cominciai a notare per diverse volte in paese una Fiat 500 color avorio. La ragazza che la guidava mi colpì, non l’avevo mai vista prima. Mi piacque subito, anche se non ci avevo ancora parlato. Seppi che faceva l’estetista, quindi rintracciai il suo numero e fissai un trattamento, così per sondare il terreno. Ci siamo conosciuti, è passato un altro po’ di tempo prima che le scrivessi di nuovo, stavolta per chiederle di uscire, e da allora non ci siamo più lasciati. In breve tempo siamo andati a convivere, sistemando nel frattempo la casa dove abitiamo dal 2019, poi è arrivata Blu il 25 febbraio del 2022”.
Quattro salti in famiglia…
Come la figlia di Beyonce? Ho letto che il nome corrisponde a pace e tranquillità…
“Non lo sapevo, e non c’entra con la nostra scelta. Avevamo saputo che sarebbe nata una bambina, cercavamo un nome particolare, da una serie su Netflix scoprimmo Blu e piacque subito a entrambi. Quanto a pace e tranquillità per adesso ne ha poca, ma va benissimo così!”
Va al nido oppure sta con i nonni?
“Tutte e due le cose. Al nido è già nella sezione dei grandi, e i nonni ci danno una grossa mano. Mia mamma Adele ha lavorato nell’Area Scuola del Comune ed è in pensione dal 1° luglio, mio babbo Fabio è stato infermiere in ospedale, entrambi hanno una grande passione per il calcio… e per i nipoti! Poi c’è la zia Marta, mia sorella, con il suo compagno e due figli. Nei fine settimana e il lunedi siamo tutti a cena dai miei”.
Dalla tua precedente relazione, invece, sono nati Margherita e Gianluca…
“Sono molto orgoglioso di loro. Margherita ha 16 anni, frequenta il Liceo linguistico a Castiglion Fiorentino. Ha già fatto un Erasmus in Spagna durante la scuola media; ai primi di gennaio del 2025 ci tornerà per tre mesi, nel frattempo ospiteremo una studentessa spagnola, proprio da questo fine settimana. Sono esperienze che le piacciono e indubbiamente la fanno crescere. Gianluca è in seconda media e, come ti ho detto, gioca negli Under 13 dell’Arezzo, hanno un bel girone con toscane e liguri, giocherà con Sampdoria, Genoa, Spezia. Anche per lui sarà un’esperienza di vita, per crescere e imparare ad accettare le regole, la convivenza coi compagni, impegnandosi per guadagnare il suo spazio, come succede nella vita”.
Anche ragioniere e tecnico informatico!
Che lavoro fai, a parte il calcio?
“Mi sono diplomato ragioniere a Foiano. Ho iniziato a lavorare come tecnico informatico nel primo anno da calciatore dilettante, riparando computer per quattro anni. Poi ho lavorato in un’azienda di abiti su misura per più di 10 anni, adesso dal 1° luglio lavoro per il Centro Rigenera Valdichiana di Marciano (già, il luogo di quella prima partita…), di nuovo come tecnico informatico. Mi trovo benissimo con il titolare Salvatore Fiorillo e ho quell’elasticità di orario che mi tornerà utile quando tornerò ad allenare”.
“Viaggiare arricchisce sempre…”
Invece quanto a passioni, musica, letture, viaggi… Cosa ti viene in mente?
“Mi piace lo sport in generale, guardare qualche film, più da casa che al cinema, le serie TV, i comici, e ascolto musica per lo più italiana. Non sono un grande lettore di libri, mi tengo informato e mi aggiorno soprattutto sul web. Viaggiare arricchisce sempre, è scoperta. Quest’anno siamo stati in vacanza in Sardegna e a Bellaria. Di altri viaggi con la famiglia ricordo l’esperienza in Egitto a Marsa Alam, i Beduini del deserto, la loro cultura e il loro modo di pensare e stare al mondo. Ho viaggiato tanto anche con il calcio, sviluppando lo spirito di adattamento alle varie situazioni con le quali mi confrontavo via via”.
Solo chi cade…
Un altro aforisma in tuo post diceva in sintesi “Non guardarmi soltanto quando sogno ma anche quando inciampo e cado”. In quale momento lo hai citato?
“E’ una frase che ho pubblicato dopo che, a Foiano. avevamo iniziato benissimo il girone di ritorno, vincendo contro Fortis e Firenze Ovest e pareggiando con la Lastrigiana. Poi eravamo in difficoltà per numerose assenze, fra cui Betti, Adami, Tenti, e abbiamo perso il derby con la Sinalunghese. Volevo dare un segnale ai miei giocatori e all’ambiente, perché la squadra va sostenuta anche quando soffre o perde una partita”.
Qualche sbaglio, ma niente rimpianti
Copilot, l’assistente AI di Microsoft, interrogata col tuo nome e cognome conclude sostenendo che “Non ci sono informazioni dettagliate sui suoi piani futuri, è probabile che continui a essere coinvolto nel mondo del calcio, magari in un nuovo ruolo o con una nuova squadra”. Cosa ne pensi?
“Davvero? Questa mi mancava. Beh, sono d’accordo sulla nuova squadra, ma sempre con il ruolo di allenatore”.
Nella tua carriera di calciatore ci sono momenti di svolta che potevano andare diversamente?
“Purtroppo penso di aver raccolto meno di quanto meritassi, non m’interessa attribuire responsabilità, vivo nel presente cercando di lavorare per avere un futuro migliore. Potevo far di più come giocatore, ho commesso degli errori lungo il tragitto, adesso penso a fare meglio possibile l’allenatore per non rifare gli stessi sbagli e, se possibile, evitare che li facciano i miei giocatori”.
L’importanza del mental coach
Alludi a comportamenti o abitudini di vita sbagliate, oppure ad altro?
“Sono sempre stato ligio alla mia professionalità, non ho mai bevuto né fumato, nessuno stravizio. Però ci sono dei momenti difficili durante la carriera di un giocatore. Oggi si possono affrontare con una figura accanto che ti dia dei consigli per sbagliare meno, essere più concentrato sul campo, in modo da superarli in fretta. Ritengo fondamentale la figura del mental coach, lo psicologo è di supporto, non viene più visto come uno stregone né l’averne bisogno è interpretato come segnale di malessere. Quando un ragazzino, magari con la complicità del genitore, cresce credendosi già calciatore affermato, rischia di scontrarsi da adulto con delle disillusioni, meglio se comprende di essere prima di tutto una persona e si impegna per crescere meglio possibile, in questo anche la famiglia è fondamentale”.
Le contraddizioni delle scuole calcio
Negli ultimi tempi la mediocrità in cui è scivolato il calcio italiano solleva spesso il tema dell’attenzione eccessiva che viene rivolta al risultato, fin dalle scuole calcio, a scapito del divertimento. Come la vedi?
“E’ un discorso lungo e articolato. Prima di tutto, anche in una prima squadra, quando si arriva al campo la prima prospettiva, pur con l’obiettivo da raggiungere, deve essere il divertimento, come se tu giocassi con gli amici per strada. Se non è così c’è un problema di fondo, non è il modo giusto per affrontare quello che stai facendo. Fino a una certa età il bambino dovrebbe essere libero di esprimersi, troppe volte viene costretto in un ruolo prestabilito, deciso dagli adulti. Noi, casomai, dobbiamo creare in loro dubbi, perplessità, attraverso cui cominciare a ragionare; dare loro dei problemi, e sostenerli nel trovare le soluzioni e correggere i propri errori, senza farne un dramma. Penseremo poi all’aspetto tattico, alla personalità. Spesso e volentieri gli istruttori allenano più se stessi che i bambini, dà più soddisfazione vincere un torneo piuttosto che poter dire di aver migliorato tutti almeno in qualcosa, senza lasciare nessuno indietro né perderne qualcuno per strada. I ragazzi che ho avuto al settore giovanile mi cercano ancora oggi per un consiglio, segno che ho trasmesso qualcosa. Non ho bisogno di affiggere un regolamento nello spogliatoio, i miei principi sono educazione e rispetto, se un giocatore arriva tardi a una riunione tecnica non ha senso la multa, semplicemente non giochi in partita”.
Ritorno al futuro
Ti manca stare in panchina, come immagini il tuo rientro in pista?
“Quando ho annunciato il ritiro in molti mi avrebbero visto volentieri ancora in campo. Mi ero reso conto che allenare era già diventata come una droga, qualcosa di meraviglioso. Ho cercato di acquisire prima possibile i patentini e iniziare questa nuova avventura. In realtà, dico sempre, non ho smesso di giocare, ho iniziato ad allenare. Spero di avere modo quanto prima di tornare sul campo, in un ambiente con le mie stesse ambizioni”.
Gli aforismi di Filippo
Non guardarmi soltanto quando sogno. Quando sorrido. Quando apro finestre nel cielo e guardo cosa c’è oltre. Guardami mentre inciampo e cado. Quando combatto e sbaglio. Guardami quando ho paura. Quando il buio sta per arrivare. Allora sì, potrai dire chi sono. (Fabrizio Caramagna)
Non andare dove il sentiero ti può portare, vai dove non c’è ancora e lascia dietro di te una traccia. (Ralph Waldo Emerson)
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