Io proprio io: Angelo Livi
Io proprio io: Angelo Livi. L’Almanacco del Calcio Toscano torna a proporre gli approfondimenti con i personaggi del nostro mondo, siano calciatori, allenatori, dirigenti o semplici appassionati. L’ispirazione, ricordiamo ancora una volta, viene dalla rivista per ragazzi “Il Monello” che negli anni 70-80 chiamava la rubrica “Io proprio io“. Il quarto racconto di quest’anno ci porta a conoscere da vicino il Presidente dell’Aquila Montevarchi 1902, Angelo Livi. Un ritratto che si mescola e sovrappone alla storia del Montevarchi, società che il Presidente Livi, in carica da 10 anni, rappresenta e “indossa” fin da ragazzo come una seconda pelle.
a cura di Edoardo Novelli con la collaborazione di Andrea L’Abbate
Da Sergio Vatta a Nico Lelli
Presidente Livi, possiamo accostare la sua storia di calciatore, allievo di Sergio Vatta, con la scelta di Nico Lelli come nuovo allenatore del Montevarchi? Con le dovute proporzioni, di tempi e di età, lei si è formato calcisticamente con un professore del calcio giovanile, oggi si affida a un ragazzo che ha iniziato nelle scuole calcio, e dei giovani ha conoscenza e rispetto profondi…
“Presentarsi a inizio stagione con un allenatore giovane, che vede e crede tanto nei giovani, mi riporta in effetti al passato. Ho avuto la fortuna di far parte da ragazzo di un vivaio allora fortissimo, forse il migliore in quel momento, quello del Torino. Ho conosciuto due allenatori, Ercole Rabitti e Sergio Vatta. Rabitti era un maestro nel vero senso della parola, respiravi l’insegnamento, un modo di pensare il calcio che rivedo attuali anche nel calcio moderno. Vatta l’ho avuto nella prima esperienza da calciatore a Ivrea, società satellite del Torino. Faceva giocare tanti giovani, avevo 16 anni, ero un centravanti arretrato, diciamo un regista, perno del centrocampo. E’ un po’ presto forse per accostare Nico Lelli a questi due mostri sacri, anche se mi provoca una certa emozione e voglio pensarlo come un augurio. Il ragazzo ha fatto un’ottima impressione alla dirigenza. Ha la testa sulle spalle, è caratteriale, spiega ciò che propone, motiva le sue scelte. E’ nel nostro stile lasciare piena autonomia al tecnico, gli siamo vicini e cercheremo di accompagnarlo, senza mai interferire”.
Com’è stato l’impatto con l’ambiente?
“Ha parlato con tutti i giocatori che abbiamo già tesserato, che sono usciti dal colloquio soddisfatti e ben impressionati dalle sue idee e dai suoi principi. Ora si tratta di metterli in campo. Speriamo di soffrire meno dello scorso anno, con un po’ di pazienza, sperando si crei presto sintonia, anche con la piazza che ha reagito al suo arrivo con entusiasmo spontaneo, palpabile, un motivo di soddisfazione e di responsabilità per tutti noi. Il pubblico di Montevarchi saprà aspettare il momento giusto, con qualche critica se ci sarà bisogno, e noi possiamo solo ringraziarlo per questo. Ho fiducia che il lancio della campagna abbonamenti (venerdi 26 luglio n.d.r.) abbia un buon riscontro, cercheremo di venire incontro ai più giovani, comunque speriamo che lo stadio si riempia sempre”.
Pronto? Qui parla il Presidente!
E’ un pubblico, una piazza, che ad esempio ha fatto innamorare a vita Gabriele Vangi… Gabriele la saluta e ci chiede di domandarle se telefona ancora ai giocatori il sabato prima delle partite…
“Sempre! Io chiamo tutti i sabati sera tutta la rosa dei convocati, tenendo per ultimo il capitano e finendo con l’allenatore e il direttore sportivo. Lo faccio da dieci anni, come da allora conservo in dei raccoglitori – cartacei ! – gli appunti delle partite viste, le valutazioni dei giocatori. Qualche giovane può storcere un po’ la bocca, ma la telefonata è un’abitudine che ho intenzione di mantenere. Abbiamo un ottimo ricordo di Gabriele, è un ragazzo che qui ha dato tutto, è cresciuto come uomo, ha fatto esperienza consacrandosi a buonissimi livelli. E’ un compagnone e ogni volta che è tornato gli hanno fatto festa, qualche tifoso chiedeva pure di riprenderlo, rimane nel nostro cuore. Mi viene in mente poi il suo amico Stefanelli (Cosimo n.d.r.), un fuoriclasse, ha vinto campionati con noi arrivando in D, poi ci ha detto che voleva smettere. E’ stato un grande dispiacere, pari a quello per Francesco Daveri, che rinunciò all’Eccellenza per venir qua in Prima Categoria, aveva forza fisica e intensità straripanti, ma poi scelse di prendere un taxi (nel senso di “licenza” n.d.r.), sarebbe stato ideale per la squadra di Roberto Malotti”.
Ho lavorato una vita a Sangiovanni Valdarno
Com’è Angelo Livi quando non fa il Presidente?
“Faccio la vita normale di una persona semplicissima, sono in pensione dal 2022, ho lavorato per più di 38 anni come metalmeccanico nella ditta del signor Arduino Casprini (storico Presidente della Sangiovannese deceduto a 65 anni in un sinistro stradale il 27 dicembre 2004 n.d.r.), sento ancor oggi il rispetto di chiamarlo così. Un lavoro senza sconti, duro e impegnativo, che la sera ti mandava a letto caldo, ma ci sono stato bene, ben accetto dalla famiglia e dai compagni di lavoro. Ho grande stima e rispetto di Arduino Casprini e della sua famiglia. Con lui abbiamo parlato di calcio solo in un paio di occasioni. Una volta prima di un derby, quando mi chiese se potevo intervenire a smorzare certe offese personali che giravano, un’altra quando ci confrontammo su dei giocatori, ma non si arriva a cinque minuti in tutto”.
Un montevarchino infiltrato a Sangiovanni, davvero non ha mai avuto problemi?
“Una volta sono andato a lavoro con la bandiera rossoblù, mi hanno inseguito… Hanno smesso perché gli ho minacciati di mandare la Mutua e non tornare più!” (sorride divertito n.d.r.).
Una telefonata nella notte
Invece com’è diventato l‘Angelo Livi presidente del Montevarchi?
“Era un periodo in cui già andavo in giro per partite, una specie di osservatore sotto traccia per qualche amico dei tempi del Torino, come Marco Masi che allenava a Pontedera e conosceva poco alcune squadre del suo girone, oltre che per squadre di serie B e C. Quando Tiziano Casucci arrivò a Montevarchi, e la società rinacque dalle ceneri (2012 n.d.r.), mi chiese di unirmi a lui, sempre come osservatore. Entrai in punta di piedi, c’era già Ferdinando Neri (attuale vice Presidente n.d.r.), davo il mio contributo e chiesi solo il rimborso delle spese vive. Dopo un annetto e mezzo, all’uscita da lavoro, mi ritrovo almeno cinque chiamate di Ferdinando. Ero a Sangiovanni al Porcellino, feci in macchina il sottopasso, lo stadio, la strada di tutti i giorni per venire verso casa, poi lo chiamai. Mi disse di incontrarlo subito, gli risposi che a stento mi reggevo in piedi e potevo pure addormentarmi a un semaforo, allora fissammo per la mattina dopo, praticamente all’alba. <Bisogna tu faccia il Presidente> mi disse, spiegandomi che quello in carica, Gherardo Iannelli, dopo la vittoria in 1a categoria aveva rinunciato per motivi legati alla sua attività di imprenditore, pur rimanendo nel Consiglio Direttivo. Mi sembrò una follia, ma accettai, lì per lì tenemmo nascosta la cosa, poi dopo un mese e mezzo circa cominciarono a circolare le voci: Gherardo Iannelli lascia, chi sarà il sostituto, e via dicendo. Dicevo in giro di non saper nulla, quando poi uscì il mio nome fu un plebiscito unico, un fiume di messaggi, e siamo arrivati fino a oggi, disconoscendo anche il nostro Statuto che vorrebbe un nuovo Presidente ogni due anni. Son qui a domandarmi come mai, tutte le mattine mi alzo e me lo chiedo!”
Domenica bisogna vincere, eh?
I bilanci si fanno alla fine, ma come definirebbe il suo ruolo?
“E’ esaltante ma molto impegnativo, perché il Presidente è tale in ogni suo momento. Se vado a prendere un caffè o faccio la spesa al supermercato c’è sempre qualcuno che mi bussa la spalla <Domenica bisogna vincere, eh Presidente?> Oh, ma datemi pace! Invece vivo in questa maniera. Devo dire che siamo stati bravi a gestire la retrocessione e le nostre responsabilità, ho sempre messo la faccia e in dei momenti mi sono sentito un parafulmine, ma ho sempre avuto vicino la società”.
Una famiglia sempre presente
C’è qualcun altro a cui sente di dire grazie per l’appoggio che ha ricevuto?
“Ho avuto la fortuna di avere il sostegno e l’amore della famiglia, di mia moglie Maria Teresa e mia figlia Arianna, che adesso è in stato interessante. Mia moglie è a un anno poco più dalla pensione, è impiegata in una ditta di artigianato. Siamo sposati dal 1985. Ogni tanto si lamenta del tempo che passo qui, qualche volta viene con me, si siede a fumarsi due sigarette, prende un caffè e torna via. Mia figlia vive a Levane, è laureata in lingue, si occupa di traduzioni, pubblicità, ora è il momento giusto per diventare mamma”
In tutto questo tempo ha mai avuto voglia di mollare tutto?
“Ho pensato alcune volte di lasciare, specie quando i momenti non son buoni, ma mi sarebbe sembrato di scappare. Sono rimasto perché, come ho detto, la società non ha mai indietreggiato, col passo secondo la gamba e senza spese azzardate. Il gruppo dirigente è di una dozzina di persone, nessuna si tira mai indietro. Ferdinando Neri è un ottimo assemblatore, equilibrista, ne conosce bene i caratteri. Sono tutti imprenditori del posto, a cui sta a cuore la società e il paese”.
La rinascita del settore giovanile, il rinnovo degli impianti
In dieci anni avete ricostruito anche un corposo settore giovanile, lo segue personalmente e quanto è importante per la vostra crescita?
“Ho contatto spesso con il d.s. Roberto Burzi e il responsabile scouting Cesare Margiacchi, persone di nostra fiducia che ben conoscono l’ambiente e a loro volta sono ben conosciuti e accreditati. Cerco di vedere più partite possibile, specie delle categorie allievi, perché prima di far arrivare ragazzi da fuori è importante conoscere bene chi abbiamo in casa. Abbiamo ricostruito il settore giovanile da zero con Giorgio Rosadini, adesso abbiamo circa 400 tesserati. Porteremo un 2006 stabilmente in prima squadra, altri 5-6 andranno in ritiro e vediamo se qualcuno si dimostra già all’altezza di aggregarsi. Fare un’annata con la prima squadra, magari con 3-4 presenze, il che non impedisce di giocare il sabato con la Juniores, vuol dire respirare lo spogliatoio, capire l’ambiente, maturare. Tra l’altro attendiamo il completamento del manto verde in sintetico all’Antistadio di Piazzale Allende, dove potranno allenarsi buona parte delle squadre, mentre la prima squadra e probabilmente la Juniores rimarranno a Loro Ciuffenna, con la scuola calcio a Mercatale Valdarno, un ambiente piccolo e molto confortevole, dove farà la preparazione la prima squadra”.
Passione e campanile, la forza del paese
Un paese che ha sempre avuto un sentimento forte, anche di riconoscenza, verso la propria squadra. Conviene che negli ultimi anni si assista come a una rinascita della passione e del campanile nel calcio a questi livelli?
“Probabilmente le persone tornano alle proprie origini, magari hanno un ragazzino che gioca e seguono anche la prima squadra, e comunque apprezzano di più il calcio locale, nostrano, a portata d’uomo, dove non girano certo le cifre di denaro immorali di quello professionistico, visti poi gli ultimi risultati. Il senso di appartenenza è importante, le trasferte sono alla portata di ogni tifoso. La nostra serie D è comunque un campionato nazionale, abbiamo fatto una bellissima C, anche senza chiamarci Cesena o Reggiana”.
Che gioia il 4-0 al Cesena!
C’è un episodio, una gioia, che le è rimasta nel cuore in questi dieci anni?
“La vittoria con il Cesena per 4 a 0 – 9 aprile 2022, gol di Lischi, Gambale, Jallow e Carpani n.d.r. – con Malotti ha davvero del sensazionale; un ricordo bello, nonostante la sconfitta, è l’esordio al Mapei Stadium con la Reggiana, ci metto anche il 2-2 a Cesena nell’anno della retrocessione, quando uscimmo fra gli applausi della gente. Abbiamo vinto a Teramo, Ancona, ricordo il campanile dei derby con la Carrarese con ottima reciproca accoglienza”.
Costanzo Balleri, una leggenda
Il Montevarchi degli anni ’60 invece a cosa le fa pensare?
“Significa la mia gioventù, ritornare ragazzi a un calcio bellissimo. Avevamo fior di campioni come Mistanti, Lucchesini, Bencini e soprattutto Costanzo Balleri. Per me e per tutti i montevarchini Balleri è qualcosa di particolare, immortale, davvero Balleri vive, esiste nella maniera più assoluta. Con la sua famiglia ho avuto contatti fino all’ultimo, sono stato a trovare la moglie, signora Fiorella, quando è rimasta sola, adesso mi sento con la nipote Rachele, che viene ogni tanto a vedere giocare la squadra con una bimba e il compagno, ospiti dei nostri ultras”.
Era bravo anche a fare… le iniezioni!
C’è qualche aneddoto che la lega a lui e che vuole condividere?
“Aveva un sinistro magico, spettacolare. Faceva coppia con Picchi, astuto, furbo, un colpitore. Quando è arrivato Balleri siamo diventati Il Montevarchi, Nel 1966/67 avevamo vinto il campionato a pari punti con la Fortis Juventus, ci fu lo spareggio al Comunale di Firenze davanti a tantissima gente (oltre 10.000 spettatori n.d.r.) e vincemmo alla monetina, ricordo di me piccolino, ero sulle scale della tribuna col babbo. E’ arrivato lui e ha cambiato tutto, si è fatto benvolere, un livornese un po’ scorbutico è diventato montevarchino di fatto. Di casa abitava vicino alla nostra, quando mi ammalavo e ci volevano le iniezioni me le faceva lui, nessun altro ci riusciva perché scappavo di corsa e non mi prendevano più. In periodi diversi è stato a Montevarchi più di vent’anni, poi lo ha segnato il dolore per la perdita improvvisa della figlia Monica (strappata alla vita da un’aneurisma nel 1998 n.d.r.) e non è più tornato se stesso.
Tanti allenatori, tanti ricordi
Ci sono degli allenatori ai quali è rimasto particolarmente legato?
“Sento spesso Athos Rigucci, ogni volta che assume la guida di una nuova squadra e nelle feste comandate. Già ero amico del babbo, qui gli vogliono bene tutti. Gli anni con Roberto Malotti sono stati intensi, bellissimi, ci siamo divertiti insieme, peccato per i problemi di salute che lo hanno costretto a lasciare, sono contento di rivederlo in panchina. Di lui ricordo <l’invenzione> di Giulio Giordani, ce lo fece prendere a dicembre 2021, schierandolo ogni volta in posizione diversa, fece gol decisivi. Un allenatore vero si vede quando nei momenti di difficoltà si inventa qualcosa, penso anche a Gino Bernardini che Malotti schierò a rinforzo della difesa, posizione in cui Simone Venturi al Tau lo ha riproposto. Poi c’è una persona che, per quanto sia difficile, ci farebbe piacere rivedere dalle nostre parti, è Piero Braglia (che a Montevarchi vinse la C/2 1994-95 n.d.r.). Lo sento spesso, nel dicembre scorso ha portato qui da noi il suo Gubbio in amichevole (finita 1-1 n.d.r.), ha preso dei nostri giocatori come Alessandro Tozzuolo e Alessandro Mercati, è una persona che, come ricordo e per l’intensità del tempo vissuto, accosto a Balleri. Lo abbiamo rivisto in lui, la stessa capacità di cambiare la partita con una mossa, un modulo diverso, ha una visione da allenatore vero. Mi ha sempre impressionato anche Guido Pagliuca, oggi è alla Juve Stabia in serie B, lo ricordo alla Pianese e al Ghiviborgo, imprevedibile e capace di scatti improvvisi, ma bravo come pochi”
Da calciatore, carriera breve ma intensa
Tornando ad Angelo Livi calciatore, uniamo i puntini della sua carriera, abbiamo detto all’inizio delle giovanili al Toro, poi?
“Prima ancora ho cominciato qui a Montevarchi, poi Allievi e Primavera a Torino e Ivrea, sono tornato un breve periodo a Montevarchi in serie C, quindi ho giocato a Rosignano. Devo dire però che mi sono sentito presto scarico, non avevo più voglia, forse mi sarebbe servita una guida autorevole, ma non ho rammarico per com’è andata la carriera, anche perché l’uomo resta oltre il giocatore. Ricordo Giuseppe Dossena, un ragazzo rapido di mente e di gamba, capace di stoppare al volo le monetine da 50 lire, poi Aldo Cantarutti, Marco Masi, con tutti loro ci sentiamo ancora oggi. Così mi sono un po’ allontanato dal calcio, sempre seguendo il Montevarchi, e senza perdermi in chiacchiere ho cominciato a lavorare, traendo gli insegnamenti che mi rendono la persona che sono”.
Ero già della Juve, poi…
Le cronache su di lei raccontano anche di un grave infortunio che ha condizionato la carriera, come andò?
“Quando avevo 14 anni, nel 1972, dovevo andare alla Juventus, era una cosa già fatta. Ero stato in prova, il nostro direttore all’epoca era Sergio Gilardetti, alla Juve c’era Moggi, erano di paesi vicini. Feci due partitelle da centravanti, con 6 o 7 gol non ricordo bene, mi tolsero dopo 20-25 minuti entrambe le volte, pensai a una bocciatura invece voleva dire che mi avevano già scelto. Nei giorni in cui scesero a Montevarchi per la firma però commisi un’imprudenza col motorino e una macchina, senza sua colpa, mi investì, così mi sono rotto il femore. Son dovuto stare un centinaio di giorni praticamente murato di gesso fino al torace, poi quando ho ripreso mi ha cercato il Torino, chissà come sarebbe andata altrimenti. Tra l’altro mentre ero negli allievi del Toro, mi veniva a prendere Alberto Marchetti, montevarchino che era già in prima squadra nella Juve, ricordo qualche pranzo insieme con lui, Scirea e altri. Nel frattempo il ginocchio era a posto, però il lavoro faticoso ha poi reso necessario intervenire pochi anni fa con una protesi totale”.
Il Montevarchi Club 1998, prove da Presidente
La cronistoria rossoblù la segnala fondatore del Montevarchi Club a fine anni ’90, come andò?
“E’ stata la mia prima volta da Presidente, era un club di tifosi che per cinque o sei anni ha seguito la squadra in serie C, l’allenava Gian Cesare Discepoli, facevamo anche le trasferte, poi l’energia si affievolì con la retrocessione ma non mi sono mai allontanato dal calcio. Come dicevo, seguivo le partite da osservatore, se non mi davano noia (sorride n.d.r.) per me potevo farlo ancora. Logico che se fai bene e non le ciambelli tutte si sparge la voce, le conoscenze ne procurano altre che ti cercano per interpellarti, anche dei club professionistici. Poi però è capitato il Montevarchi ed eccoci qua!”
Un “pensionato” tutto casa e stadio
Ha compiuto da poco 65 anni, le si apre un mondo di “agevolazioni per anziani”, ha già in mente quali sfruttare?
“In realtà vivo una vita molto tranquilla, sto volentieri in casa, mi piace guardare la tv, gli avvenimenti sportivi, i film. Cerco di rendermi utile in famiglia. Faccio attività motoria ogni mattina, almeno tre o quattro volte a settimana, camminata veloce e cyclette per sudare e mantenere il tono muscolare e il ginocchio. Non manca la passeggiata a Montevarchi in via Roma, la nostra via maestra, quando le cose vanno bene e si è vinto la domenica, certo. Altrimenti svicolo dalle vie traverse! (se la ride di gusto n.d.r.). Poche vacanze, già le faccio tutti i giorni, e comunque al mare di casa nostra, Versilia, Maremma, va bene tutto”.
Onesto ma… fumìno!
In due parole quale pregio e quale difetto si riconosce o si vede riconosciuto?
“Sono una persona semplice, onesta, e visibile, non mi nascondo. Certo, questi dieci anni mi hanno un po’ cambiato la vita, vado meno al bar, il caffè lo prendo se si vince, altrimenti faccio finta di niente, non mi fo vedere e buonanotte. Dicono che sono diplomatico, in realtà sono piuttosto fumino, specie con chi entra in confidenza con me, anche se col tempo ho affievolito i bollori. Poi certo, in campo, a volte lo scatto può starci”
Come l’anno scorso col Ghiviborgo? Cosa ha detto per prendere due mesi di squalifica?
“L’arbitro aveva espulso nello stesso momento sia me che l’allenatore del Ghiviborgo, proprio Nico Lelli! Ci siamo trovati negli spogliatoi chiedendoci l’un l’altro cosa mai avessimo fatto o detto. Nulla, in verità… La società non fece opposizione per dare la precedenza a Massimiliano Benucci, espulso anche lui con 3 giornate di squalifica, facemmo ricorso per lui che se la vide ridotta a 2 (a dicembre poi è passato alla Sangiovannese n.d.r.)”
Presidente, lunedi 22 luglio è iniziata inizia la preparazione. Che girone sarà, per quanto si possa immaginare?
“Livorno, Grosseto e Siena in prima linea, ma il campionato è lungo, può sempre uscire la sorpresa, magari più di una outsider, da non dimenticare il Gavorrano, vedremo quante umbre ci saranno, noi siamo già carichi”.
Li vorrei abbracciare tutti…
Il suo sogno nel cassetto?
“Poter riabbracciare tutti, ma proprio tutti, quelli che hanno giocato qui, magari per festeggiare una grande vittoria”.
In bocca al lupo, Presidente Livi. Ci vediamo in via Roma per un caffè. Quando vince, certo, altrimenti non ci si fa vedere e buonanotte!
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